A QUESTO NON SI PUO' DIRE DI NO:

LA GUARIGIONE DI WANDA POLTAWSKA

Estratto dal libro di Renzo Allegri: 

I miracoli di Padre Pio. Mondadori Editore.

Inchiesta giornalistica sui fatti prodigiosi attribuiti al frate con le stigmate ora diventato santo

Nel 1962, Karol Wojtyla era vescovo ausiliare a Cracovia. Il l ottobre di quell'anno veniva inaugurato il Concilio Vaticano il e Karol Wojtyla aveva raggiunto la capitale italiana insieme ad altri 24 vescovi polacchi e al cardinale Wyszynski per partecipare a quello straordinario evento della Chiesa. A Roma aveva preso alloggio presso il Collegio Polacco, che si trova sul colle Aventino, in un posto bellissimo, pieno di sole, di verde, da dove si può godere la veduta di tutta la città. Era felice di essere tornato nella "città eterna" dove tanti anni prima aveva studiato Teologia. Doveva rimanere in quella città fino alla metà di dicembre e aveva in programma, oltre agli impegni conciliari, mille progetti. Aveva partecipato con gioia alla Messa dell'apertura del Concilio celebrata nella Basilica di San Pietro. Tutte le mattine si recava alle assemblee con entusiasmo. Ma tra tante gioie e soddisfazioni, una sera, rientrando nel Collegio Polacco trovò una lettera con una dolorosa notizia: la dottoressa Wanda Poltawska, moglie del suo amico Andrei, era malata. Era stata ricoverata in ospedale e gli esami clinici avevano messo in evidenza la presenza di un tumore.

Karol Wojtyla conosceva bene quella donna. Era una delle sue migliori collaboratrici. Wanda Poltawska proveniva da una famiglia polacca cattolicissima. Da giovane aveva fatto parte dei movimenti cattolici di Cracovia. Era stata un'esponente della gioventù cattolica femminile polacca. Per questo, durante la guerra, dopo l'invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, era stata arrestata e internata nei campi di concentramento nazisti, dove era rimasta cinque anni, tra sofferenze e disagi incredibili, sopportati sempre con grande fede e con rassegnazione. Ritornata in patria, aveva ripreso gli studi universitari e la sua attività nei gruppi della gioventù cattolica. Dopo quello che aveva subito e sofferto, era diventata un esempio per i suoi coetanei. E fu in quegli anni che Karol Wojtyla la conobbe. Karol era un giovane sacerdote. Era da poco stato nominato vicario nella chiesa di San Floriano, nel centro della città. il suo incarico principale era quello di interessarsi degli studenti, dei gruppi giovanili cattolici. Wojtyla era già laureato in Teologia e Filosofia. Teneva conferenze che erano seguitissime dai giovani cattolici. Intorno a lui si radunavano folti gruppi di universitari, assetati di ideali umanitari e religiosi. Tutti restavano incantati dagli insegnamenti di Karol e dal suo comportamento. Questi giovani avevano bisogno di restare periodi sempre più lunghi con lui per discutere, parlare. Allora Karol Wojtyla aveva pensato alle escursioni in montagna. Lassù, lontani dai rumori della città, a contatto con la natura, si parlava meglio di Dio e dei problemi della vita.

Tra i frequentatori di quelle escursioni, che si ripetevano più volte l'anno e che duravano anche più di una settimana, c'erano sempre Wanda Poltawska e suo marito Andrei. Erano laureati in Medicina e specializzati in Psichiatria. Erano interessatissimi ai temi che Karol Wojtyla trattava, soprattutto quelli inerenti i problemi della coppia. Spesso si fermavano a discutere con lui portando il loro contributo di medici. Wojtyla intuì la fede profonda che animava quei due giovani e divenne loro amico. Karol era solo al mondo. Sua madre Emilia era morta quando lui aveva soltanto nove anni; il fratello maggiore, Edoardo, medico, era morto subito dopo aver conseguito la laurea, e suo padre se ne era andato all'improvviso per infarto nel 1942, quando egli aveva 21 anni. Una serie di disgrazie familiari terribili che avevano profondamente segnato il suo animo sensibilissimo. Non avendo più nessuno al mondo, Karol Wojtyla a volte sentiva molto il peso della solitudine. Ma da quando aveva fatto amicizia con Wanda e Andrei, quella sofferenza interiore era quasi scomparsa. Andrei e Wanda erano diventati fratelli per lui, e la loro famiglia era diventata la sua famiglia adottiva. Avevano continuato a lavorare insieme per anni. Avevano fondato gruppi di ricerca. Avevano scritto libri, organizzato conferenze, sempre sui problemi della famiglia. Poi Karol Wojtyla era diventato professore universitario, era stato nominato vescovo. La famiglia dei suoi amici era aumentata. Wanda e Andrei avevano avuto quattro bambine. Wojtyla andava a trovarle, giocava con loro e le bambine lo chiamavano "zio". Era un'amicizia stupenda, profonda, quella di Karol e della giovane famiglia di Andrei Poltawska" un'amicizia che arricchiva il cuore. E ora, ecco la notizia tremenda: Wanda stava per morire. Di fronte a quella lettera, Karol Wojtyla provò il dolore di quando aveva perduto i suoi cari. Cominciò a pregare per la sua amica. Chiedeva al Signore di allontanare da quella famiglia una tragedia immane. Wanda aveva soltanto 40 anni. Le sue bambine avevano bisogno della mamma. Karol Wojtyla pregava con fervore, ma le notizie che giungevano dalla Polonia erano sempre più brutte. Il male progrediva rapidamente. La dottoressa Poltawska doveva essere sottoposta a un intervento chirurgico ma, data la gravità della malattia, le speranze che potesse salvarsi erano poche. Karol Wojtyla intensificò le sue preghiere. Chiedeva preghiera ad amici e sacerdoti, a suore che conosceva. Poi, improvvisamente, si ricordò di padre Pio che egli aveva conosciuto nell'immediato dopoguerra. Era andato a trovarlo nel 1947. Si era confessato da lui e ne aveva riportato una grande impressione. Credeva nella santità di quel frate e decise di rivolgersi a lui.

Prese carta e penna. Su un foglio intestato "Curia metropolitana cracoviensis", la diocesi di Cracovia, scrisse, in un latino frettoloso, una breve lettera che porta la data del 17 novembre 1962. "Venerabile padre, ti chiedo di pregare per una certa madre di quattro ragazze, che vive a Cracovia in Polonia (durante l'ultima guerra fu per cinque anni nei campi di concentramento in Germania) e ora si trova in gravissimo pericolo di salute, anzi di vita a causa di un cancro. Prega affinché Dio, con l'intervento della Beatissima Vergine, mostri misericordia a lei e alla sua famiglia. In Cristo obbligatissimo Karol Wojtyla".

La lettera venne consegnata ad Angelo Battisti che, in Vaticano, era molto conosciuto perché lavorava alla segreteria di Stato. Essendo egli amministratore della Casa Sollievo della Sofferenza, era un amico di padre Pio ed era quindi una delle poche persone che potevano avvicinarlo sempre, che potevano andare a qualsiasi ora del giorno nella sua camera. "La lettera mi fu consegnata da un cardinale italiano" raccontò Battisti. "Quel cardinale mi disse che si trattava di una vicenda della massima importanza e che quindi dovevo partire subito e consegnare la lettera proprio nelle mani di padre Pio. "Non avevo mai ricevuto incarichi così urgenti. Andai subito a casa, presi la mia auto e partii immediatamente. "Arrivato a San Giovanni Rotondo, andai nella cella di padre Pio. Gli porsi la lettera dicendo che si trattava di cosa urgente. ""Apri e leggi" disse il Padre. "Aveva la testa piegata sul petto e stava, come sempre, pregando. Aprii la busta e gli lessi la lettera. Il Padre ascoltò in silenzio senza dire niente. Quando ebbi finito di leggere quelle poche righe, rimase ancora in silenzio. Io ero meravigliato: quella lettera non conteneva niente di straordinario. Era una delle numerosissime lettere che padre Pio riceveva ogni giorno da parte di persone che chiedevano preghiere. A un certo momento, padre Pio, alzando la testa e guardandomi con i suoi occhi profondi mi disse: "Angiolino, a questo non si può dire di no". Piegò di nuovo la testa sul petto e riprese a pregare. "Risalii in macchina per tornare a Roma. Durante il viaggio continuavo a riflettere su quella frase. Conoscevo padre Pio da anni. Ero abituato a vedere intorno a lui le cose più incredibili. Sapevo che ogni sua parola aveva sempre un profondo significato. Continuavo a chiedermi: Ma perché ha detto: 'A questo non si può dire di no'?. Chi era quel vescovo polacco? Io lavoravo in segreteria di Stato, ma non lo avevo mai sentito nominare. Perché padre Pio aveva tanta stima di lui fino al punto da pronunciare quella frase che dimostrava che era una persona importantissima per lui? Arrivato a Roma chiesi ai miei colleghi se conoscevano il vescovo Wojtyla, ma nessuno lo aveva mai sentito nominare". Dopo undici giorni, e precisamente il 28 novembre, Karol Wojtyla scrisse una nuova lettera a padre Pio: "Venerabile padre, la donna abitante a Cracovia in Polonia, madre di quattro ragazze, il giorno 21 novembre, prima dell'operazione chirurgica è guarita all'improvviso. Rendiamo grazia a Dio. E anche a te padre venerabile porgo i più grandi ringraziamenti a nome della stessa donna, di suo marito e di tutta la sua famiglia. In Cristo, Karol Wojtyla, vescovo capitolare di Cracovia".

Questa seconda lettera di Wojtyla è piena di gioia. Egli annuncia l'incredibile fatto in forma sintetica, ma fornendo gli elementi precisi per far comprendere che si trattava di un prodigio straordinario. La guarigione della sua amica è avvenuta all'improvviso, mentre l'ammalata si trovava in ospedale e stava per essere sottoposta all'intervento chirurgico. Si tratta quindi di una guarigione avvenuta sotto gli occhi dei medici, quindi sotto il controllo della scienza. Un vero e proprio miracolo, che Wojtyla attribuisce, senza ombra di dubbio, all'intervento di Dio ottenuto grazie alle preghiere di padre Pio. Anche questa volta la lettera fu immediatamente consegnata ad Angelo Battisti con l'incarico di portarla subito a San Giovanni Rotondo. "Partii immediatamente perché anche quella volta, in Vaticano mi avevano fatto una grande fretta" mi raccontò Battisti. "Arrivato a San Giovanni Rotondo, entrai nella cella di padre Pio, gli feci vedere la lettera e come al solito egli disse: "Apri e leggi". "Questa volta lessi con molta curiosità anch'io, perché volevo sapere che cosa ci fosse ancora di tanto importante, e sentendo quella notizia veramente straordinaria, incredibile, guardai verso il Padre come per congratularmi con lui. Ma padre Pio era immerso nella preghiera. Sembrava non avesse udito la mia voce mentre leggevo la lettera. Attesi in silenzio che mi dicesse qualcosa oppure che mi ordinasse di tornare a Roma. Dopo qualche minuto il Padre disse: "Angelino, conserva queste lettere, perché un giorno diventeranno importanti". Tornai a Roma, tenni sempre con me quelle lettere, come mi aveva ordinato padre Pio. Passarono sedici anni e mi ero quasi dimenticato di averle. Ma la sera di lunedì 16 ottobre 1978, quando dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro sentii il cardinale Felici annunciare al mondo il nome del nuovo Papa che era stato eletto al posto di Giovanni Paolo I, mi venne quasi un colpo. Il nome era quello di Karol Wojtyla. Quel vescovo polacco che mi aveva dato la lettera da portare a padre Pio per chiedere la guarigione di una donna di Cracovia. Pensai immediatamente alla frase di padre Pio. "A questo non si può dire di no" e mi vennero le lacrime agli occhi."