Pio
XII visto da vicino
Caro Tony e cari lettori di questo Angolo,
ho letto sul
“Corriere della Sera” un articolo che parlava dell’attività di Pio
XII a favore delle persone che, durante la Seconda Guerra Mondiale, gli
scrivevano per avere notizie di loro cari dispersi.
Tra il 1939 e il 1947, in Vaticano arrivarono milioni di lettere.
Erano di cattolici, ma anche di protestanti, mussulmani, ebrei, credenti e
atei. Una anche di Pier paolo Pasolini che chiedeva informazioni sul suo
padre prigioniero in Africa. In quegli anni di grande dolore e sofferenza,
il Papa era un punto di riferimento al di sopra di tutte le parti. E mi ha
colpito il fatto che Egli aveva dato ordine che si rispondesse a tutti.
Costituì, a questo scopo, l’ “Ufficio Internazionale Vaticano per i
prigionieri di guerra”, che era diretto da Giovan Battista Montini, il
futuro Paolo VI. Ad un certo momento, quell’ufficio aveva 600 impiegati
che a nome del Papa rispondevano ad ogni tipo di richiesta.
Pio XII fu un grande Papa. Morì nel 1958, a 82 anni.
Il mondo lo pianse e lo esaltò. Ma in seguito, contro di lui si
scatenarono violente polemiche, riguardanti il suo atteggiamento tenuto
durante il conflitto mondiale nei confronti degli Ebrei. Fu accusato di
non aver difeso gli ebrei, di non aver condannato il nazismo, di avere,
con il suo silenzio, permesso e
favorito lo sterminio ebraico nel Lager nazisti. Accuse che sono state
smentite da innumerevoli libri, da innumerevoli documenti, da innumerevoli
testimonianze, ma che vengono continuamente ripetute.
Non voglio entrare nel merito di questo argomento, ma vorrei
qui ricordare un interessante incontro che ebbi nel 1973 con il principe
Giulio Pacelli, nipote di Pio XII. Gli avevo chiesto un’intervista per
scrivere un articolo su Papa Pacelli “visto da vicino”. Lui era
cresciuto accanto al celebre zio e io desideravo che mi raccontasse
com’era nella vita privata, com’era prima di diventare Papa, come si
svolgevano le sue giornate, quali erano i suoi interessi.
Il principe Giulio Pacelli era molto riservato. Credo non
abbia mai concesso interviste. Non so perchè abbia accettato di
incontrarmi. Avevo sollecitato diverse raccomandazioni importanti per
ottenere l’intervista e, evidentemente, qualcuna era andata a buon fine.
Mi ricevette nel suo studio e
conversammo a lungo. Le sue parole, i suoi ricordi risultarono molto
interessanti perchè rivelavano aspetti inediti della vita del grande
Papa. Ecco i punti salienti
di quel nostro incontro, avvenuto nella primavera del 1973.
<<Mio zio, Pio XII, aveva un senso profondissimo della
propria dignità>>, mi disse il principe Giulio Pacelli.
<<In pubblico era sempre perfetto, controllato, aveva un portamento
regale. Nella vita privata era umilissimo, semplice ma ugualmente
riservato>>.
<<Lo
ricorda quando era soltanto un monsignore?>>.
<<Lo
ricordo benissimo. Allora vivevamo nella stessa casa, in questa, dove
stiamo parlando ora. Mio zio nacque il 2 marzo 1876, in via degli Orsini,
a palazzo Pediconi. Poi visse a palazzo Rossini, in via della Vetrina.
Nel 1907 mio padre, Francesco Pacelli, fratello di Pio XII, costruì
questa casa e trasferì qui tutta la famiglia: i nonni, Filippo Pacelli
e Virginia Graziosi, il fratello Eugenio, il futuro papa, allora
monsignore di curia, una sorella non ancora sposata, mia madre e noi
quattro figli: Carlo, morto tre anni fa, un altro
mio fratello che si fece gesuita e morì giovanissimo, io e mio fratello
Marcantonio. In questa casa Eugenio Pacelli visse per molti anni. Alcune
stanze restarono riservate a lui anche quando fu mandato nunzio in
Germania. Abitò qui per un anno anche dopo la sua elezione a
cardinale>>.
<<Com'era
la sua giornata lavorativa, allora?>>.
<<Si alzava
prestissimo. Alle sei e tre quarti diceva la messa e io gliela servivo.
Ricordo quelle messe con vivissima emozione. Il volto di mio zio si
trasfigurava. Egli pronunciava le parole latine con una soavità e un
raccoglimento commoventi. Il momento dell'elevazione era una cosa
straordinaria. La messa durava tre quarti d'ora ed era seguita da un
lungo ringraziamento. Poi mio zio andava in Vaticano.
<<Tornava
all'una e mezzo e tutta la famiglia lo attendeva per il pranzo. Si andava
a tavola alle due, tutti insieme. Mio zio mangiava pochissimo. Conversava
con cordialità ed era una miniera di notizie, di aneddoti, di
esperienze interessanti. Conversava con suo padre, con sua madre, con i
fratelli, ma anche con noi che eravamo piccoli. Era affettuosissimo con
noi. Ci chiedeva come andava la scuola, parlava dei classici latini e greci
che stavamo studiando, citava a memoria brani di Tito Livio, Giulio
Cesare, Sofocle, Aristofane, Plutarco. Aveva una memoria incredibile.
Qualche volta, dopo pranzo, si fermava un po' a giocare con noi. Poi, dopo
un breve riposo, usciva per la passeggiata quotidiana di un'ora. Per
tutta la vita fu fedele a questa abitudine della passeggiata alla quale
non rinunciava per nessuna ragione, neanche quando pioveva o nevicava.
Quando era cardinale segretario di Stato, si faceva accompagnare con
l'automobile all'ingresso di villa Borghese e poi si spingeva a piedi
tino a piazza di Siena. Divenuto papa, passeggiava nei giardini
vaticani. Per non perdere tempo, durante la passeggiata recitava il
breviario, oppure leggeva. Camminava con passo spedito, elastico. Teneva
il busto eretto: era un gran camminatore, e non era facile stargli dietro.
<<Al ritorno
dalla passeggiata, restava con noi ragazzi per venti minuti, mezz'ora:
guardava i compiti che stavamo svolgendo, ci dava dei consigli, correggeva
gli errori e poi si ritirava nelle sue stanze e lavorava fino alle nove di
sera. A quell'ora tutta la famiglia si radunava di nuovo per la cena. Al
termine lo zio dava la buona notte a tutti e tornava nel suo studio, dove
lavorava ancora fino all'una di notte. Questa era la sua giornata; e
questo ritmo di lavoro tenne per tutta la vita con meticolosa
diligenza>>
<<Era molto attaccato alla
famiglia?>>.
<<Sì, siamo stati educati a essere molto uniti tra
noi, e anche lui aveva questo amore per la famiglia. Il lavoro assorbiva
tutto il suo tempo e lo portava spesso lontano, ma nei momenti più
lieti e più tristi della vita familiare, cercava di
non mancare mai. Ricordo quando morì il nonno, il padre di Pio XII.
Allora ero molto piccolo, ma ricordo bene. Il nonno era ammalato di
polmonite. Nella grande camera si sentiva il rantolo dell'infermo, che
non riusciva a respirare, e la voce dello zio, triste ma ferma, che
recitava le preghiere dei moribondi. Lo zio restò accanto al nonno per
tre giorni di seguito, fino alla fine. Partecipo ai funerali, e il suo
volto scavato era sconvolto dalla sofferenza.
<<Quando morì
sua madre, Eugenio Pacelli era in Germania. Arrivò appena in tempo per
darle un bacio prima che fosse chiusa la bara. Anche allora aveva
il volto segnato dalla sofferenza atroce, ma non lo sentii mai
pronunciare una parola di sconforto. Il suo dolore trovava sfogo nella
preghiera>>.
<<Non
ha mai visto suo zio piangere?>>
<<Nei momenti
più dolorosi per la famiglia aveva gli occhi lucidi, ma la sua tremenda
forza di volontà riusciva sempre a dominare il dolore. Una sola volta
lo vidi piangere, e fu in un'occasione
lieta: il giorno del mio matrimonio. Mi sposai il 25 luglio 1940. Da un
anno egli era papa. Quando gli avevo chiesto se accettava di benedire il mio
matrimonio, aveva acconsentito e mi aveva abbracciato; ma poiché
nella sua vita non aveva mai voluto favorire i parenti, volle che la
cerimonia fosse celebrata nella sua cappella privata alla presenza dei
parenti più stretti.
Eravamo, infatti, una ventina di persone. Alla
cerimonia fungeva da assistente monsignor Montini, l'attuale pontefice.
Al Vangelo, mio zio fece un breve discorso. Cominciò a parlare della
nostra famiglia e ricordò soprattutto mia madre, morta quando avevo
dieci anni (lui l'aveva conosciuta benissimo perché, insieme a sua madre,
mandava avanti la nostra numerosa famiglia). Mentre ricordava queste
cose, mi guardò e la commozione ebbe il sopravvento, La sua voce si
ruppe in un singhiozzo, e cominciò a piangere dirottamente, senza
riuscire a frenare le lacrime. Dovette interrompere il discorso, attendere
che la commozione passasse. Poi riprese a parlare. Fu l'unica volta che lo
vidi piangere ».
<<Conversando
con lui, gli davate del tu o usavate il lei?>>.
<<Lui dava del tu a noi, ma noi
usavamo il lei, secondo una tradizione di famiglia, come facevamo anche
con i nonni e con i nostri genitori>>.
<<Alla
morte di Pio XI, suo zio si aspettava di venire eletto papa?>>
<<No, nel modo più assoluto. C'era una
tradizione nella storia della Santa Sede che fino allora era quasi sempre
stata rispettata: il cardinale segretario non poteva mai diventare papa.
Si pensava che fosse troppo legato al predecessore e che, per il bene
della Chiesa, fosse necessario un cambiamento radicale. Mio zio e Pio XI
erano stati affiatatissimi, e questo non era un mistero per nessuno. Alla
morte di Pio XI, mio zio era stato cardinale camerlengo, aveva cioè retto
la Santa Sede fino al Conclave, sbrigando le pratiche rimaste in
sospeso. Erano dieci anni che lavorava senza risparmiarsi
ed era molto stanco. Aveva deciso di prendersi un periodo di vacanze
in Svizzera. Prima di entrare in Conclave, aveva fatto preparare le
valigie. Aveva deciso di partire immediatamente, appena eletto il nuovo
papa. Invece, dopo un Conclave eccezionalmente breve (meno di una
giornata), venne eletto lui. Le vacanze in Svizzera non le fece più>>.
<<Lei continuò a vederlo anche dopo la
sua
elezione a pontefice?>>.
<<Lo
incontravo in Vaticano, anche perché io ero guardia nobile e
prestavo servizio accanto a lui. Andavo anche a trovarlo, ma non aveva
molto tempo per i parenti. Il lavoro per la Chiesa lo assorbiva
giorno e notte. Mio fratello Carlo
andava da lui tutte le sere: era consigliere genecale dello Stato del
Vaticano, e così parlavano dei
problemi del Vaticano e anche degli avvenimenti della nostra
famiglia>>.
<<Pio
XII, durante la guerra, si adoperò per aiutare i poveri, per
salvare gli ebrei perseguitati. Lei ricorda qualche episodio
particolare?>>.
<<Quello
che mio zio fece durante la
guerra non sarà mai conosciuto completamente. Dopo
la sua morte sono state
scritte calunnie orribili, ma fortunatamente i documenti storici che
ogni tanto vengono alla luce fanno giustizia.
<<Per
prima cosa, subito dopo la sua elezione, mio zio cercò di impedire che
l’Italia venisse coinvolta nella guerra. Per tradizione i pontefici
ricevono le visite dei sovrani degli altri Stati, ma non le ricambiano
mai. Mio zio ricevette la visita del re d'Italia e volle ricambiarla, il 28
dicembre 1939, recandosi in visita solenne al Quirinale. La guerra divampava in tutta Europa. Il presidente
Roosevelt aveva scritto a mio zio alcune lettere invitandolo ad adoperarsi
per tenere l'Italia fuori dal conflitto. Mio zio era convinto di quanto
diceva il capo di Stato americano e si recò a far visita al re con il
preciso scopo di scongiurarlo a non portare l'Italia in guerra. In quella
visita sperava di incontrare anche Mussolini, ma il capo fascista non
andò, mandò, quale suo rappresentante, Galeazzo Ciano, ministro
degli Esteri. Io accompagnai mio zio, in quella visita. Egli tenne un
discorso molto commovente, dicendo che il Tevere non divideva più il
Vaticano dal Quirinale. Il re e la regina piangevano commossí, Nell'aprile
del 1940 tentò ancora di salvare l'Italia e
inviò una lettera autografa a Mussolini, ma anche questo non servì a niente.
<<Mio
zio fu l'unico difensore di Roma, durante la guerra. I
documenti che il Vaticano sta per pubblicare lo dimostrano ampiamente.
Ci sono decine e decine
di lettere di Pio XII, inviate agli
alleati, nelle
quali chiede che Roma venga considerata "città aperta". Si
appella al fatto che è la capitale religiosa dei cattolici, la sede del successore di San Pietro, che ogni pietra è un ricordo
storico, un monumento artistico. Dopo che gli alleati decisero di
intervenire con i bombardamenti su Roma, egli, inviando lettere e note
diplomatiche, riuscì a far spostare continuamente la data del primo
bombardamento preservando la città sana e salva ancora per sei mesi.
Quando gli alleati non vollero più ascoltare la sua voce e fecero cadere
le prime bombe su Roma, il 19 luglio 1943, Pio XII uscì dal Vaticano
subito, prima ancora che venisse dato il segnale del cessato allarme, e si
recò tra la gente colpita nel quartiere Tiburtino. Durante quel
bombardamento io ero a casa. Uscii immediatamente anch'io e mi recai
al Verano per vedere se era stata colpita la tomba di famiglia e così,
per strada, incontrai mio zio, in mezzo a una folla di povera gente che
piangeva e pregava con lui. Quello che vidi sul suo volto in quei
momenti non lo potrò
mai dimenticare. Io che lo conoscevo bene, capivo quanta sofferenza ci
fosse nel suo animo e quanto desiderio di aiutare, di consolare, di far
sentire a quella gente che il papa voleva loro bene. Stringeva le mani
delle persone che gli stavano più vicine e sembrava non riuscisse a
staccarsi da loro.
<<Durante
l'occupazione tedesca di Roma, Pio XII salvò migliaia di persone dalla
morte, dalle torture, dai campi di concentramento. Soprattutto ebrei
ricercati dai nazisti. Ogni giorno in Vaticano arrivavano decine e decine
di persone, di ogni categoria sociale, che chiedevano il suo aiuto, il
suo intervento ed egli ascoltava tutti.
I1 primo generale comandante le truppe tedesche in Roma era un
bavarese cattolico e attraverso quello mio zio salvò molta gente. Potrei
fare i nomi delle persone salvate, ma non vale la pena. Forse qualcuno non
ha piacere di far sapere, oggi, di essere stato salvato da Pio XII. Però
sa di dover la vita a quel papa.
<<Ad un certo momento si sparse
la notizia che gli ebrei avevano bisogno di oro. I nazisti avevano
promesso salva la vita a tutti gli ebrei abitanti in Roma, in cambio di
oro. Il rabbino si rivolse anche al Vaticano e Pio XII diede ordine di
dare tutto l'oro richiesto, e l'oro fu dato. I nazisti presero l'oro e poi
presero anche gli ebrei.
<<L'episodio di questo oro dato
da Pio XII agli ebrei è ricordato in maniera blasfema, in un film
italiano. Si vede un rabbino, spaventato e macilento, che si reca in
Vaticano, di notte, a chiedere aiuto. Incontra un prelato, rubicondo,
vestito sfarzosamente, con anelli d'oro alle dita e una pesante croce
d'oro massiccio e diamanti sul petto, che gli fa la elemosina. L'autore
del film ha voluto insinuare che Pio XII, donando un po' d'oro agli
ebrei, non aveva privato se stesso del benessere e della tranquillità
economica. Ma è una calunnia.
<<Pio XII
amava concretamente e non a parole, tutti gli esseri umani soprattutto
quelli che soffrivano. Questo amore lo spingeva a voler soffrire come loro, ad imporsi le stesse privazioni cui erano
costretti. Durante la guerra sapeva che molti uomini
soffrivano la fame, ed egli si privava del cibo che
avrebbe potuto avere in abbondanza. Quando cominciarono i bombardamenti,
molta gente restò senza casa e fu costretta a affrontare i rigori
del freddo senza riscaldamento, con pochi vestiti in condizioni di grave
indigenza. Pensando a quelle famiglie, Pio XII, durante la guerra, non
volle che il suo appartamento fosse riscaldato. Aveva le mani e i piedi
gonfi, pieni di geloni. Faticava a scrivere a macchina, a tenere la penna
in mano, non stava bene di salute, ma non volle il riscaldamento. Quando
in Italia cominciò a scarseggiare lo zucchero e il caffè, mio zio
smise di prendere caffè e fino al termine della guerra non bevette più
una sola tazzina di caffè. Le scorte di zucchero e di caffè che
c'erano in Vaticano e quelle che arrivavano, le mandava agli
ospedali della città per gli ammalati.
<<In
pubblico mio zio voleva sempre apparire perfetto, impeccabile.
Rappresentava la Chiesa, sentiva in modo
elevatissimo il senso di questa suprema dignità. Il suo comportamento e i
suoi abiti, esteriormente, erano impeccabili come quelli di un sovrano.
Ma in realtà egli era poverissimo. Dopo la sua morte, scoprimmo che il
suo corredo di biancheria era misero: aveva soltanto tre camicie, logore e
rattoppate, alle quali cambiava spesso i polsini inamidati perché,
quelli, si vedevano. Aveva due o tre paia di scarpe che faceva continuamente
aggiustare e risuolare. Durante gli anni della guerra diede ai poveri
tutto quello che aveva, tutto il denaro che riceveva. Quando
morì, non lasciò niente a nessuno, perché non aveva niente. Come
tutti hanno potuto constatare osservando le fotografie pubblicate dopo
la sua morte, dormiva in una camera disadorna, su una branda di
ferro>>.
<<Ho
letto che Pio XII amava molto la musica
e che in gioventù studiò il violino: è vero?>>.
<<E' vero.
Quando ero ragazzo, ricordo che suonava il violino. Lo strumento restò in
casa nostra per molto tempo e dovrebbe esserci ancora da qualche parte. Da
monsignore si recava ad ascoltare i concerti all'Accademia di Santa
Cecilia. L'unico svago che si permise da papa fu quello di ascoltare, ogni
tanto, della buona musica. Nel suo appartamento, in Vaticano, aveva un
giradischi. Una volta al mese, non
di più perché temeva di togliere tempo prezioso al suo lavoro per la
Chiesa, ascoltava dei dischi.
Gli autori preferiti erano Beethoven e Wagner>>.
<<E'
vero che suo zio faceva ginnastica tutte le mattine?>>.
<<Tutti
lo hanno detto e
scritto. lo non 1'ho mai visto fare ginnastica Quando abitavamo insieme,
in questa casa, nessuno in famiglia si è mai accorto che facesse
ginnastica. Era fedele alla sua passeggiata quotidiana e credo che quello
sia stato l'umico
sport praticato per mantenere sano il fisico. Andava a letto all'una di
notte e si alzava alle cinque: non credo gli restasse tempo per fare
ginnastica>>.
<<Negli
ultimi anni della sua vita, pensava alla morte?>>
<<Morì
a 82 anni. Sapeva che la sua vita ormai era arrivata alla
fine, ma non ci
pensava. Continuava a lavorare come se ogni giorno fosse il primo del
suo pontificato. Faceva spesso questa preghiera: "Signore, tu sai
che dedico tutto il mio tempo alla Chiesa. Ti chiedo una grazia: poter
avere, prima di morire, un giorno tutto per me, per pensare alla mia anima
e prepararmi
al grande passo". Il Signore lo accontentò.
<<Durante
gli ultimi tempi della sua vita, mio zio soffriva di un diverticolo allo
stomaco. Ogni tanto i medici dovevano intervenire per levargli i succhi
gastrici attraverso una sonda. Un giorno, durante questa operazione, lo
zio fu colpito da spasmo cerebrale e perse conoscenza. Restò in coma per
24 ore. Noi gli eravamo intorno e pensavamo che fosse giunta la sua fine. Poi, improvvisamente, la
sera dei sei ottobre, si riprese. Riconobbe tutti i presenti e salutò
tutti. Il mattino seguente, sette ottobre, fece venire il confessore e
restò con lui fino a mezzogiorno. Nel pomeriggio ricevette monsignor Tardini e Dell'Acqua, suoi collaboratori più stretti. A sera disse:
"Ora sono pronto". Aveva dedicato tutto il giorno a se stesso
come se avesse saputo di essere giunto al termine della sua vita.
Trascorse la notte
tranquilla. II mattino disse di aver riposato molto bene. Salutò le
persone che gli stavano intorno. Dopo un po' ritornò lo spasmo
cerebrale: Pio XII perse di nuovo conoscenza e non la riacquistò più
fino alla morte avvenuta alle tre e cinquanta del giorno che stava per
sorgere, il nove ottobre>>.
Renzo
Allegri
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