Caro Tony, uno
dei più grandi musicisti del nostro tempo ci ha lasciati. All’età
di 91 anni, il direttore d’orchestra Carlo Maria Giulini ha chiuso
la sua esperienza terrena. I giornali, i telegiornali lo hanno
commemorato usando aggettivi degni della sua grandezza artistica.
Tutti hanno riconosciuto che sia stato un punto di riferimento
nell’interpretazione musicale dell’ultimo mezzo secolo. Però si
è detto poco di lui, della sua persona, dei suoi ideali, della sua
visione della vita, della sua filosofia e della sua profonda fede
religiosa. Giulini
non è stato solo un grande artista, è stato soprattutto un grande
uomo, uno che ha altamente onorato la sua condizione di persona
umana e di cristiano.
Su questi aspetti i
giornali, che in questi giorni hanno commemorato il celebre maestro,
sono stati un po’ frettolosi ed evasivi. Forse perchè Giulini è
sempre stato molto riservato, quasi schivo e nelle interviste
raramente parlava di sé. Ma non ha mai fatto mistero delle profonde
convinzioni che fin da giovane hanno guidato la sua esistenza e alle
quali è sempre stato fedele al punto di sacrificare, in certe
occasioni, anche la propria carriera. Giulini è stato un testimone
dei grandi valori umani e religiosi con la sua vita, con il suo
agire. Un grande musicista, ma soprattutto un maestro di vita, che
non deve essere dimenticato.
Ho avuto la fortuna di
conoscerlo abbastanza bene e di frequentarlo. Mi ha onorato della
sua amicizia. L’ho intervistato varie volte. E nel 1994 ho
realizzato con lui una lunga intervista che ritengo sia un documento
straordinario, in quanto penso che mai Carlo Maria Giulini abbia
parlato tanto e con tanta confidenza della propria vita. In genere,
nelle interviste, parlava di musica. In quell’occasione si è
lasciato andare alle confidenze forse sapendo che quella intervista
era per una rivista giapponese, “Ongaku No Tomo”, che la pubblicò
poi in tre puntate, con molte fotografie.
Come ho detto, penso
che quell’intervista sia un documento molto importante per
conoscere certi aspetti della vita di Carlo Maria Giulini. Te la
mando convinto di fare cosa gradita a te e a tutti coloro che amano
la grande musica.
Chi legge questa
intervista, non deve dimenticare che è stata realizzata nel 1994 e
che quindi le informazioni riguardanti il maestro e la sua carriera
sono ferme a quella data.
INTERVISTA CON CARLO
MARIA GIULINI
Realizzata a Milano nell’estate del 1994 e
pubblicata dal mensile musicale giapponese “Ongaku No Tomo”
<<A
quindici anni, quando lasciai la famiglia e la mia città, Bolzano,
per recarmi a Roma, deciso a intraprendere la professione di
musicista, avevo nell'animo un proposito ben chiaro: servire la
musica. Da allora sono passati ben 65 anni, una vita, e credo di
poter dire che in tutto questo tempo ho mantenuto sempre fede a
quanto mi ero prefisso: ho servito la musica e continuo a servirla
con amore e dedizione assoluta>>.
Carlo
Maria Giulini pronuncia queste parole sottovoce, come se parlasse a
se stesso. Nel volto scarno, gli occhi socchiusi scintillano.
<<Certo>>, dice ancora il maestro <<per servire la
musica ho dovuto lottare, affrontare difficoltà, vincere intrighi,
sottrarmi a intrallazzi, perdere lavoro, rinunciare a posti di
prestigio e a guadagni che in certi periodi rappresentavano il pane
per la mia famiglia. Ma non ho rammarichi. Se dovessi ricominciare
da capo, rifarei tutto>>
Parole
che hanno il peso di un macigno. Il maestro le pronuncia con la
solennità di un testamento. Siamo nella sua casa, in via Ciovasso,
a Milano. Ed è un momento particolare per Carlo Maria Giulini: il
suo ottantesimo compleanno. Ricorrenza straordinaria, che amici
musicisti, dirigenti di teatri, di case discografiche, di sale da
concerti sparse in giro per il mondo avevano programmato di
celebrare con la massima solennità, perchè questo direttore
d'orchestra italiano gode di stima incondizionata ovunque. Ma
Giulini non ha voluto. <<La mia vita privata non ha niente a
che fare con la professione>>, ha detto gelando tutti.
<<Mi dispiace, ma il compleanno, anche se è quello degli
ottant'anni, voglio celebrarlo in casa, con la mia famiglia e
basta>>.
E
così ha fatto. Sembra incredibile, ma è accaduto proprio così.
Nessuno è riuscito a fargli mutare idea. La festa è stata
rigorosamente familiare e di quei momenti felici non è stata
scattata neppure una fotografia. Del resto, si tratta di una scelta
perfettamente coerente con il suo modo di concepire la vita. Si è
sempre comportato così e alla sua straordinaria coerenza va tutta
la nostra ammirazione.
Carlo
Maria Giulini è una personalità unica nel mondo musicale. E'
certamente il più amato e il più carismatico tra i direttori
d'orchestra viventi. Per la sua genialità è stato definito
"il maestro dei maestri", "il più grande direttore
vivente del repertorio italiano"; per l'intransigenza dei suoi
principi lo hanno chiamato "Dominedio"; e per la sua
proverbiale bontà d'animo "il santo dei santi", "il
San Carlo delle sinfonie". Donald Henahn, sul New York Times ha
scritto: "Se dobbiamo elevare a dignità di culto un
personaggio, Carlo Maria Giulini è fra coloro che indubbiamente lo
meritano".
<<E'
il più amato e rispettato musicista>>, mi ha detto un giovane
direttore d'orchestra italiano al rientro da una lunga tournèe di
concerti in America. <<In tutti gli ambienti musicali, appena
sapevano che ero italiano, infallibilmente mi dicevano: "Allora
conosci Giulini". Solo perchè sono compatriota di questo
maestro, venivo trattato con grandi riguardi>>.
Nonostante
questa fama, di Giulini si è sempre parlato poco. Il maestro è
schivo e riservato. Non ha mai fatto vita mondana, non ha mai avuto
press-agent, uffici stampa, non è mai stato legato a partiti
politici, abitualmente non concede interviste, non posa per
fotografi e non si fa riprendere dalle telecamere. Le case
discografiche, per poter avere delle immagini da mettere sulle
copertine dei suoi numerosi dischi, devono sempre sudare le
fatidiche sette camicie.
Ma
tanta riservatezza e modestia non hanno impedito che diventasse
popolarissimo. Quando dirige, in qualsiasi parte del mondo, anche se
non è stata fatta pubblicità del concerto, la gente accorre in
massa. Il messaggio "C'è Giulini" viene trasmesso
spontaneamente, dagli ammiratori, via telefono, come un tam tam
nella giungla.
Ricordo
alla Scala nell'ottobre 1977. Erano anni in cui il grande teatro
milanese era politicizzato e artisti come Giulini, che avevano
sempre rifiutato le tessere dei partiti, venivano trascurati. Il
maestro mancava dalla Scala da diverso tempo. Tornava per dirigere
la “Nona” di Beethoven. Il teatro non fece alcuna pubblicità,
ma i biglietti andarono a ruba. C'era un tale fermento che il
teatro, per accontentare tutti, fu costretto a istallare un impianto
di amplificazione che diffondeva il concerto all'esterno. E quella
sera piazza della Scala era zeppa di di gente, soprattutto giovani,
accorsi da ogni parte per sentire Giulini. E la corale
partecipazione si ripetè, quell'anno, in molte altre città
italiane
<<La
gente ama la musica più di quanto immaginiamo>>, dice il
maestro, quasi a scusarsi del suo successo, ma non riesce a
nascondere un sorriso di giusta soddisfazione.
La
sua carriera iniziò subito dopo la guerra. Dal 1945 al 1952 fu
direttore stabile dell'orchestra della RAI. Una sera Arturo
Toscanini, mentre era nella sua casa di Milano, ascoltò per caso
alla radio un concerto diretto da Giulini. Volle subito conoscere il
giovane maestro e lo tenne tra i suoi amici e discepoli fino alla
morte.
Dal
1951 al 1956 Giulini fu direttore stabile della Scala, e quello fu
uno dei periodi musicalmente più interessanti del teatro milanese
nel dopoguerra. Furono gli anni delle regie di Visconti, di
Zeffirelli, della famosa "Traviata" con Maria Callas. Poi,
improvvisamente qualcosa guastò quel prolifico lavoro. <<Ho
dovuto scegliere>>, dice Giulini. <<O la Scala o la
famiglia. Il mondo teatrale non è tutto rose e fiori. Per far
carriera occorre a volte accettare compromessi. Ma io non sono il
tipo per queste cose. Volevano farmi vivere a modo loro. Ho dovuto
sostenere battaglie tremende. Ho detto di "no" a persone
alle quali era assurdo dire di "no", e me ne sono andato.
Tutti pensavano che fossi "liquidato" per sempre. Invece,
fui subito chiamato all'estero e fu la mia fortuna.
<<Ho
80 anni>>, dice ancora il maestro dopo una breve riflessione.
<<Dicono che sono famoso, conosciuto in tutto il mondo. Nella
mia vita ho incontrato tante persone, tanti artisti, ho insomma una
esperienza molto vasta. Ebbene, la cosa più bella e più preziosa
della mia vita è, per me, la famiglia. Sono sposato da 52 anni e
sono innamorato di mia moglie come il primo giorno. Ho tre figli e
sono fiero di loro perchè hanno una visione seria e responsabile
dell'esistenza.
<<Con
una professione come la mia, non è facile salvare valori
fondamentali come la famiglia. Ma io le ho dato la precedenza su
tutto. Ho affrontato molte rinunce e molti sacrifici per la mia
famiglia. Se fosse stato necessario, avrei rinunciato anche alla
carriera. Se lei mi chiede quanto guadagnavo quando ero direttore
stabile delle varie Orchestre, le rispondo che non lo so, perchè
non ho mai letto i miei contratti. Ho sempre lasciato fare ai miei
manager. Intervenivo personalmente soltanto per far includere nel
contratto una clausola: nessuna ingerenza nella mia vita privata,
nessun coinvolgimento della mia famiglia nelle esigenze
pubblicitarie del lavoro.
<<Parlare
di questi valori, oggi, può sembrare anacronistico e ridicolo. Ma
se lei vuol sapere chi è il maestro Giulini, questa è la risposta.
Io sono un musicista che ha dato tutto il possibile alla musica, ma
sono soprattutto un uomo che non ha mai accettato nessun compromesso
con la sua coscienza per far carriera>>.
<<Perchè
è diventato direttore d'orchestra?>>, domando.
<<Credo
che nessuno possa dire perchè ha scelto una professione piuttosto
che un'altra>>, risponde il maestro. <<L'amore per la
musica l'ho sempre avuto, fin da bambino, ma la decisione di
diventare direttore d'orchestra l'ho presa da adulto>>.
<<Spesso i
giornali scrivono che lei è pugliese, che è nato a Barletta,
vicino a Bari; altri invece dicono che è altoatesino, precisamente
di Bolzano>>.
<<Sono
nato a Barletta, ma solo per combinazione. Mio padre era di Ponti
sul Mincio, in provincia di Mantova. Lavorava nella ditta
Feltrinelli, che si interessava di legname, e si innamorò della
figlia del direttore. Dopo il matrimonio si rese vacante un posto
nella succursale della ditta a Barletta. Pochi volevano andarci.
Poichè allora era immorale favorire un parente, il direttore della
Feltrinelli mandò suo genero a Barletta. Là nacque mio fratello e
poi io. All'inizio della prima guerra mondiale tornammo a Ponti sul
Mincio, dove avevamo delle terre. Al termine della guerra mio padre
si mise in proprio e si trasferì a Bolzano, dove io crebbi e
studiai fino ai 15 anni, quando partii per Roma. La mia famiglia
quindi è lombarda e anch'io mi sono sempre sentito tale>>.
<<Quando scoprì la vocazione per la musica?>>.
<<La
mia passione per la musica ha una origine curiosa. Un giorno, quando
avevo quattro anni, vidi per la strada un suonatore ambulante che
suonava il violino. Rimasi affascinato, non tanto dalla musica, ma
da quello strano strumento. A Natale, quando i miei genitori mi
chiesero quale regalo desiderassi, risposi: "Voglio un
violino". Rimasero meravigliati per la richiesta assolutamente
inattesa, ma mi accontentarono. Mi regalarono un violino piccolo, da
bambino. Una suora dell'asilo lo sapeva suonare e fu lei la mia
prima maestra.
<<Qualche
anno dopo la mia famiglia si trasferì a Bolzano e là cominciai a
seguire lezioni regolari con ottimi progressi. A 15 anni dovetti
prendere una decisione definitiva: se volevo veramente diventare
musicista era necessario che mi dedicassi completamente allo studio
del violino con maestri importanti. Decisi di seguire questa
carriera e mi trasferii a Roma. Mi iscrissi al Conservatorio di
Santa Cecilia e studiai viola sotto la guida di Remy Principe, che
era un prestigiosissimo didatta.
<<Mi
diplomai nel 1932. Continuai a studiare composizione, ma dovevo
pensare a guadagnarmi da vivere. Nel 1929, con la crisi economica
che aveva colpito il mondo, mio padre aveva perduto tutto. Non
volevo pesare sulla famiglia.
<<La
mia massima aspirazione, allora, era di poter entrare in una vera
orchestra. Feci un concorso per il posto di ultima viola
nell'orchestra dell'Augusteo e lo vinsi. Quell'orchestra era
leggendaria. La sala in cui suonava, il Teatro Augusteo, la più
bella mai esistita, con un'acustica perfetta. Quando arrivò la
notizia che avevo ottenuto quel posto, piansi per l'emozione.
Ricordo ancora esattamente quel momento. Vivevo in una pensione di
due anziane signorine, che chiamavo zie. Era l'ora di cena. Squillò
il telefono e una delle due signorine mi disse che volevano me.
Corsi. "Qui l'Accademia Santa Cecilia: le comunichiamo che ha
vinto il concorso per l'ultima viola dell'Orchestra dell'Augusteo".
Mi sentii svenire e dovetti sedermi. Non riuscii a pronunciare
neppure una parola. A distanza di tanti anni, quando mi chiedono
qual è il più bel ricordo della mia vita, rispondo: "Il
giorno in cui vinsi il concorso per ultima viola dell'Orchestra
dell'Augusteo".
<<Quanto durò
la sua carriera di suonatore di viola?>>.
<<Diversi
anni. Il mio maestro, Remy Principe, era contrario, diceva che mi
sarei rovinato, perchè era un posto di poco prestigio. Lo disse
anche a mio padre, ma io ero felicissimo. E devo dire che quel
periodo costituì un'esperienza musicale irripetibile. Come ho
detto, l'orchestra dell'Augusteo era una delle più prestigiose. Ed
ebbi la fortuna di poter suonare con i più grandi direttori,
escluso Toscanini, che era in America. Suonai con Furthwaengler,
Bruno Walter, Erich Kleiber, Klemperer, De Sabata, Guarnieri, Del
Campo, Failoni, Marinuzzi. Ogni incontro con questi artisti era un
avvenimento.
<<Il
primo concerto lo feci con Bruno Walter. C'era grande attesa perchè
il maestro tornava a dirigere in Italia dopo un periodo di assenza.
I colleghi più anziani mi dicevano: "Sarà un'esperienza
esaltante". Ero quasi contrariato di tutto quell'entusiasmo.
Temevo che l'attesa fosse troppo viva e che la realtà si tramutasse
in delusione. Invece l'incontro con Walter fu veramente
indimenticabile. Il maestro aveva la straordinaria capacità di
rendere tutta l'orchestra partecipe del fatto musicale. Non era un
direttore che rappresentava l'autorità: era un artista che faceva
musica insieme agli altri. Suonammo la “Prima Sinfonia” di
Brahms e mi sentivo talmente impegnato, coinvolto musicalmente ed
emotivamente che mi pareva di aver suonato una Sinfonia per
orchestra e ultima viola. Un'esperienza sconvolgente>>.
<<Quali altri
direttori di quel tempo la entusiasmarono?>>.
<<Tutti,
perchè all'Augusteo venivano i più grandi. Ricordo Richard Strauss.
Nel 1939 il musicista fu invitato a dirigere a Roma per festeggiare
il suo settantacinquesimo compleanno. Era un personaggio
leggendario. Il suo arrivo costituiva un avvenimento. Bernardino
Molinari, responsabile dell'orchestra dell'Augusteo, ci preparò con
pignoleria. Provammo il "Don Giovanni" di Strauss, che
l'autore, in seguito, avrebbe diretto, decine di volte. Lo
conoscevamo alla perfezione.
<<Finalmente
arrivò Strauss. Era un vecchietto piccolino, con tutti i capelli
bianchi. Salì sul podio, ci salutò con un simpatico sorriso, disse
alcune frasi di circostanza e cominciò la prova. Appena diede il
via, l'orchestra partì come un razzo, ma dopo qualche minuto,
Strauss si fermò e si mise le mani nei capelli.
"Signori", disse "voi suonate proprio tutte le note,
alla perfezione. Ma non è di questo che ho bisogno. La musica è
fatta anche di altre cose". In dieci minuti distrusse il lavoro
di giorni e giorni di prove. Noi avevamo raggiunto la perfezione
formale ma mancava l'anima.
<<Altri
direttori indimenticabili sono stati
Victor De Sabata, che aveva un inconfondibile gesto danzante.
Antonio Guarnieri, per me geniale. Direttore di una capacità
incredibile, in ogni campo. Era anche molto strano, pigro, non aveva
voglia di studiare. Per questo non è ricordato come meriterebbe. Un
giorno doveva dirigere una "prima" di Bloch al San Carlo
di Napoli. Si presentò alla prove senza aver mai aperto lo spartito
e si trovò subito in difficoltà. "Questa musica mi fa
schifo", disse. Chiuse lo spartito e se ne ritornò in albergo
affermando di non voler dirigere.
<<Bisognava
trovare un sostituto, ma non era facile, trattandosi di una
"prima" assoluta. I dirigenti del teatro chiesero aiuto
all'autore e Bloch cominciò le prove. Preparò l'opera con
diligenza. Alla prova generale si ripresentò Antonio Guarnieri con
lo spartito sotto il braccio. "Che fa qui maestro?", gli
chiesero. "Devo dirigere l'orchestra" rispose. "Ma c'è
il maestro Bloch", ribatterono. "Ho un contratto",
disse Guarnieri "e intendo rispettarlo". Salì sul podio,
aprì lo spartito e alzò la bacchetta. Cominciò a dirigere e
l'orchestra sembrava trasformata. Un trionfo. Al termine Bloch corse
a stringergli la mano. "Non sapevo di aver scritto una musica
così bella", ripeteva commosso. Che cos'era accaduto? Durante
le prove, Guarnieri se ne era stato nascosto in un palco, con lo
spartito e aveva studiato l'opera>>.
<<Tra tutti i
direttori con i quali ha suonato, chi
ritiene il più bravo?>>.
<<Bruno
Walter>>.
<<E il meno
bravo?>>.
<<Igor
Stravinski. Era un cane. Un genio come compositore, ma un vero cane
come direttore d'orchestra>>.
<<L'Augusteo,
come sala, venne poi distrutta>>.
<<Esattamente.
Fu un delitto. Aveva un'acustica miracolosa. In due occasioni ho
sentito sia Bruno Walter che Klemperer fermare l'orchestra durante
una prova e dire: "Per favore, ripetete questo passaggio perchè
così, come viene in questa sala, non l'ho mai sentito".
Pendereski, il grande pianista polacco che fu anche presidente
della Repubblica nel suo Paese, all'Augusteo veniva sempre a
suonare gratis perchè diceva che una sala come quella non si
trovava in tutto il mondo.
<<Poi,
qualcuno disse a Mussolini che sotto c'era la tomba di Cesare
Augusto ed egli, per cercare quella tomba, fece abbattere la sala.
Un giorno l'orchestra si radunò, a sala vuota. Suonammo gli inni
nazionali, per dare l'addio a quel luogo pieno di ricordi
straordinari. Io rimasi a lungo, con un amico a guardare, in
silenzio, con un dolore tremendo nell'animo.
<<La
sala venne abbattuta, ma della tomba di Cesare Augusto nemmeno una
traccia. L'avessero almeno ricostruita. Niente. Da allora in Italia
non è più sorta una sola sala da concerto. Questo Paese, patria
del melodramma, è pieno di teatri e teatrini, autentici gioielli
architettonici, ma non ha una sola sala decente
da concerto. In Spagna, nei mesi scorsi hanno inaugurato sei
nuove sale da concerto. Ne ho trovato di meravigliose in Giappone,
nei vari Stati Americani e perfino nelle Isole Canarie. In Italia
zero>>.
<<E ad un certo
momento della sua vita decise di lasciare la viola per salire sul
podio?>>.
<<La
passione per la direzione d'orchestra nacque all'improvviso. Mi
accorsi che il suono della viola non mi bastava più: desideravo
ardentemente dirigere un'orchestra. Questo desiderio, che mi
meravigliava e spaventava, diventava sempre più forte. Non potevo
più reprimerlo: ma come realizzarlo?
<<Decisi
di tentare una prova con i compagni di Conservatorio per vedere cosa
sapevo fare. Organizzai una serata alla quale dovevano partecipare
anche alcuni colleghi dell'orchestra dell'Augusteo. Attesi quella
serata con vivissima emozione. Per me era una data fondamentale.
All'ora stabilita andai nel luogo dell'appuntamento. Fui il primo ad
arrivare. Dopo pochi minuti giunse un mio carissimo amico,
violinista. Insieme attendemmo gli altri, ma non arrivò più
nessuno. Dopo un'ora andammo a bere un caffè e il mio primo
concerto finì con una tremenda delusione.
<<Decisi
di non pensare più alla direzione d'orchestra. Ma quel desiderio
continuava a rodermi dentro come un tarlo. Al Conservatorio c'era la
possibilità di provare con un'orchestrina di studenti. Mi feci
coraggio per vincere la mia timidezza e provare con quella. Al primo
contatto capii di aver trovato la mia vera strada. Tutto mi veniva
spontaneo e provavo una immensa felicità.
<<Continuai
quelle esercitazioni con gli studenti del Conservatorio. Il mio
maestro di viola, appena venne a saperlo, si mostrò contrario.
Disse a mio padre, che era venuto a trovarmi: "Non mi pare che
Carlo sia adatto a diventare direttore d'orchestra. Col suo
carattere non farà mai strada". Non mi aveva mai visto sul
podio. Poichè continuai senza tenere conto del suo consiglio, a mia
insaputa venne a un concerto. Al termine mi disse: "Mi ero
sbagliato: devi continuare".
<<Come
ho già detto, uno dei direttori d'orchestra che io stimavo e amavo
di più era Antonio Guarnieri. Lo ritenevo un talento eccezionale e
fui felicissimo quando seppi che avrebbe tenuto dei corsi di
direzione orchestrale a Siena. Mi presentai, ma Guarnieri non mi
volle. Aveva scelto altri, che io ritenevo non dotati, e aveva
rifiutato me. Soffrii tremendamente. Soprattutto perchè constatai
che quel maestro, che io adoravo, non mi aveva capito. Ebbi con lui
uno scontro terribile. In seguito, cambiò opinione e mi fece
chiamare, ma io non andai. Praticamente non studiai direzione
d'orchestra con nessuno. Imparai da solo, esercitandomi con i
compagni di Conservatorio>>.
<<Quando tenne
il suo primo vero concerto?>>.
<<Dopo
la liberazione di Roma. Dovevo tenerlo molto prima, ma la guerra lo
impedì. Nel 1940 fui chiamato sotto le armi e mi spedirono in
Croazia. Nel 1941, tornai per una breve vacanza matrimoniale. L'8
settembre del '43, quando ci fu l'armistizio, ero sottotenente ad
Agnani, al Comando del gruppo Armata del Sud con il principe di
Piemonte. Il generale ci convocò e disse: "Signori ufficiali,
la seduta è tolta". Il principe era già scomparso. A Roma
c'erano i nazisti. Bisognava scegliere: o presentarsi e stare con
loro o nascondersi. Non mi presentai e per nove mesi fui sulla lista
dei ricercati.
<<Immediatamente
dopo la cacciata dei nazisti da Roma, fu deciso di tenere un grande
concerto per celebrare l'avvenimento. Radunarono in fretta
un'orchestra, ma non avevano il direttore. Alcuni orchestrali si
ricordarono di me e vennero a cercarmi. Non volevo accettare perchè
in realtà non avevo mai diretto. Ma non c'erano alternative. E così
il mio primo concerto coincise con il primo concerto per Roma
liberata. Lo diressi con tutta la carica emotiva che poteva venirmi
da quel momento particolare, e fu un trionfo. Da lì cominciò la
mia carriera>>.
<<All'inizio
di questa conversazione lei ha detto che ha sempre voluto
"servire" la musica: cosa intendeva?>>.
<<Che
ho sempre cercato di essere a disposizione della musica e non mi
sono mai servito di essa per interessi personali. Nella mia vita ho
lavorato moltissimo, ma non esiste una sola persona che possa
esibire una mia lettera in cui abbia chiesto qualche cosa. Pensavo:
"Se posso essere utile a qualcosa, mi cercheranno". Avendo
la possibilità di misurarsi ogni giorno con Beethoven, Bach, Mozart,
si acquista il senso delle proporzioni. Noi direttori d'orchestra
siamo solo dei piccoli uomini che hanno il grandissimo privilegio di
lavorare con i geni. Da questa consapevolezza nasce il mio bisogno
di essere fedele servitore dei grandi spiriti>>.
<<Ma lei è
diventato un "servitore" eccezionale, unico. Ha fatto
carriera, è uno dei più grandi direttori d'orchestra...>>.
<<Questo
io non lo so. Giulini direttore d'orchestra non lo conosco. Conosco
un Giulini musicista, che studia molto, che pensa tanto, che una
volta suonava la viola e che poi ha continuato a fare musica insieme
ad altri musicisti. Io non sono mai uscito dall'orchestra: vivo in
questo ambiente da più di sessant'anni, ma non penso mai di essere
un direttore d'orchestra. Odio poi la parola "carriera".
Non ho senso in musica. Non ho mai pensato di essere un tenente che
aspira a diventare capitano>>
<<Come prepara un concerto?>>.
<<Studiando
molto e riflettendo. Cerco di capire ciò che l'autore voleva
veramente trasmettere e questo è un compito molto difficile. La
musica è costituita su una matematica ben precisa, con un
particolare, però: manca di unità di misura. Dante, Shakespeare,
Schiller hanno scritto delle parole e c'è un solo modo per
leggerle. Beethoven, Bach, Haydn, Mozart invece hanno tracciato dei
segni che possono essere interpretati in diverse maniere. Se dico
che questo tavolo è lungo due metri, ho l'idea esatta del tavolo
perchè esiste un'unità di misura: il metro. Se dico
"croma" so che è la metà di una "semiminima":
ma quanto è il valore esatto di una "semiminima?" Non
esiste un'unità di misura. Gli autori hanno dato delle indicazioni
per la lettura di uno spartito: "adagio",
"andante", "allegretto", "forte",
"fortissimo", ecc..: ma cosa significano questi termini?
Ci sono diversi modi di eseguire un "adagio" e ogni volta
il senso musicale cambia. Il compito del direttore d'orchestra è
quello di riuscire a interpretare giustamente quelle indicazioni
secondo il pensiero dell'autore.
<<Un
giorno Toscanini mi raccontò un episodio che gli accadde quando era
molto giovane. Doveva eseguire i "Quattro pezzi sacri" di
Verdi e sentiva che in un certo punto gli veniva un
"rallentato" che nella partitura non era indicato. Decise
di consultare l'autore. Attraverso Arrigo Boito ottenne un
appuntamento con Verdi e gli espose il problema. Verdi gli disse:
"Si metta al piano e mi faccia sentire". Toscanini eseguì
il brano come lo "sentiva" lui e cioè con il
"rallentato". "Va benissimo", disse Verdi.
"Ma quel rallentato non è scritto", ribattè Toscanini.
Verdi ebbe uno scatto d'ira. "Non si può scrivere tutto",
esclamò. "E' compito dell'interprete capire quello che
occorre".
<<Questo
diceva Verdi, ma Verdi era un genio. Capire i geni è difficile
anche in letteratura, dove la parole hanno un significato chiaro.
Figurarsi in musica dove la scrittura è sempre approssimativa. Ecco
perchè bisogna studiare e riflettere in continuazione. E non avere
mai fretta. Meglio arrivare cinque anni dopo che cinque minuti
prima>>.
<<Qual è il
repertorio che predilige?>>.
<<Quello
che sto eseguendo in quel momento. Non è una battuta, è una realtà.
Dirigere, è un "atto d'amore". Prima del concerto, io
sono niente, il musicista è un genio. Nel momento in cui si arriva
al "fatto magico", quando, attraverso il mio gesto le
note, mute sulla carta, prendono vita nei vari suoni, allora si
consuma un atto d'amore e quella musica, in quel preciso momento,
diventa mia. Ecco perchè è la prediletta. Poi, finito il concerto,
si torna da capo: io sono niente e il compositore è un genio>>.
<<Ma ci saranno
degli autori verso i quali si sente più attratto>>.
<<Certo:
sono quelli che dirigo. Le loro musiche sono le musiche della mia
vita>>.
<<Ci sono
compositori celebri che lei ha rifiutato?>>.
<<Sì,
con tutto il rispetto. Ma non voglio fare
nomi>>.
<<Secondo lei,
la musica può migliorare il mondo?>>.
<<Senz'altro
e per tante ragioni. La musica offre delle sensazioni che lasciano
libera la fantasia. Oggi, in un mondo dominato dalle immagini
visive, la musica diventa necessaria. Gli uomini sono afflitti da
problemi, dolori, preoccupazioni e la musica offre distensione,
amore, gioia, speranza>>.
<<Di fronte al futuro dell'umanità, lei è ottimista o
pessimista?>>.
<<Credo
che l'uomo abbia in sé "qualchecosa" che la scienza non
può valutare, e sarà questo "qualchecosa" a salvare
l'umanità. Se penso al progresso della scienza, resto sconcertato.
Negli ultimi settant'anni la scienza ha avuto una sviluppo superiore
a quello fatto in decine di secoli precedenti. Che cosa succederà
tra cinquant'anni? Io sono un uomo religioso, un uomo che crede in
Dio e sono certo che, nonostante tutto, sarà lo "spirito"
a guidare il mondo. In questo senso sono ottimista>>.
<<Ama la musica
contemporanea?>>.
<<Ho
fatto molte prime esecuzioni, soprattutto quando ero giovane, ma non
mi è mai stato richiesto di ripeterle. La musica contemporanea
interessa certamente lo studioso, ma un discorso su di essa è assai
complicato. Tutte le volte che lo affronto, mi si presenta davanti
un inquietante punto interrogativo. Io sono stato amico di Casella,
di Malipiero, di Pizzetti. Musicisti eccezionali, ma la loro musica
non viene praticamente eseguita. Da giovane mi sono battuto per
Stravinski, per Bartok, per Hindemith: ma adesso un giovane per chi
può combattere? Qualcuno mi può citare un'opera che negli ultimi
cinquant'anni sia entrata in repertorio?
<<C'è
un giudizio crudele della storia. Ai tempi di Mozart, di Beethoven,
di Brahms c'erano decine di musicisti che agivano, alcuni dei quali
erano ritenuti dei fenomeni insuperabili e sono completamente
spariti, totalmente dimenticati. Bach, invece, per anni e anni è
stato sconosciuto e lo stesso destino è accaduto per Vivaldi.
Queste vicende storiche ci fanno pensare. Io credo che quando la
musica è espressione di una moda, di sentimenti "datati",
legati al "contingente" di un periodo storico, è
destinata a scomparire; quando invece è "espressione" dei
valori assoluti, resta per sempre. Che cosa resterà della musica
del nostro tempo, non lo so>>.
<<La
musica ha un avvenire? Verranno ancora composte delle sinfonie,
delle opere capaci di entusiasmare e commuovere le folle?>>.
<<Anche
a questa domanda è impossibile rispondere. Parlando di musica,
parliamo, in genere, di un'arte in realtà giovane, che ha più o
meno appena 400 anni. Infatti, solo nel quattrocento è stato
fissato un rigo, il pentagramma, e una serie di note con il loro
specifico nome ed è cominciata la scrittura musicale. Ma la musica
esisteva da sempre. E' nata con l'uomo. E' un gesto, un ritmo.
Mentre le altre arti si fissavano nella scrittura, nel segno, la
musica è andata avanti per millenni senza la possibilità di essere
codificata. Quando questo si è verificato, la musica, da Monteverdi
a Schoenberg, ha compiuto un itinerario meraviglioso, stupendo.
<<Poi,
è accaduto qualche cosa. C'è stata una specie di "cacciata
dall'Eden", dal paradiso terrestre. La musica ha come
"smarrito" il linguaggio universale che costituisce la sua
essenza, non è più riuscita a parlare alle masse. Sono iniziati
studi, ricerche, esplorazioni, esperimenti un po' ovunque, in tutto
il mondo, ma ancora non si vede una strada da percorrere. Tempo fa,
il maestro Pierre Boulez, uno dei maggiori ricercatori, che per
tanti anni ha lavorato sulla musica elettronica, ha detto alla
televisione francese: "L'esperimento è finito". Che cosa
voleva intendere? Che non si può andare avanti? Che il ciclo della
musica si è chiuso per sempre? Non lo so. Attualmente siamo in
grado di produrre degli "effetti sonori" che vanno
benissimo per commentare le immagini di un film. Ma forse solo tra
cento, duecento anni si potrà sapere se il nostro tempo ha prodotto
della musica vera>>.
<<Da
molto tempo lei dirige e incide solo musica sinfonica. Negli anni
Cinquanta e Sessanta era considerato il più grande interprete del
repertorio lirico italiano: perchè ha abbandonato l'opera?>>.
<<Sul
melodramma ho le mie idee e le mie convinzioni. Ritengo che per
allestire dignitosamente un'opera lirica siano indispensabili tre
elementi fondamentali: "voci", che devono essere strumenti
capaci di fare musica; "parte visiva", perciò dei
registi; e "tempo", occorre tempo per provare e riprovare.
<<Ho
fatto l'opera in un periodo fortunato, quando avevo a disposizione
voci straordinarie, pensiamo alla Callas, alla Tebaldi, a Corelli, a
Bastianini; e c'erano registi altissimi, come Luchino Visconti,
inoltre avevamo tutto il tempo necessario per preparare i nostri
spettacoli. Quando feci la "Traviata" alla Scala nel 1955,
con la Callas e Visconti, prima di iniziare le prove, io, la Callas
e Visconti abbiamo lavorato per due settimane solo su Violetta.
Tutti i giorni ci chiudevamo in una stanza e si lavorava senza
guardare mai l'orologio. Volevamo che il personaggio corrispondesse
a ciò che voleva Verdi. Poi, abbiamo iniziato le prove e anche
queste sono andate avanti senza barriere di tempo. Abbiamo ottenuto
dei buoni risultati perchè quell'allestimento viene ancora citato
come un punto di riferimento.
<<Allora
si poteva lavorare in questo modo. Poi le cose sono cambiate. I
registi hanno cominciato a voler fare la "loro" Traviata,
il "loro" Falstaff, il "loro" Don Giovanni, la
"loro" Norma, dimenticando che queste opere hanno autori
del calibro di Verdi, Mozart, Bellini; gli artisti non avevano tempo
per provare: oberati da impegni in ogni parte del mondo, davano una
disponibilità di pochi giorni per le prove, inoltre le loro voci
apparivano logore e mortificate da una routine massacrante. No, in
queste condizioni non è possibile fare l'opera, almeno per me e così
con il melodramma ho rinunciato definitivamente>>.
<<Lei ha
conosciuto bene Maria Callas>>.
<<La
prima volta ci siamo incontrati a Bergamo nell'ottobre del 1951.
Dovevo dirigere la “Traviata” con la Tebaldi che si ammalò ed
arrivò Maria Callas. "Guardi che io faccio tutto diverso dalla
Tebaldi", mi disse. "Signora", ribattei "qui c'è
scritto tutto: opera di Giuseppe Verdi. Facciamo quello che vuole
lui". E cantò benissimo. Poi, alla Scala abbiamo lavorato
molto insieme. Era una grandissima artista e aveva un profondo
rispetto per gli spartiti>>.
<<In un certo
senso lei è stato anche il "pupillo" di Toscanini>>.
<<Il
maestro mi ha voluto molto bene. Lo incontrai a Milano alla fine
degli anni Quaranta. Io ero direttore dell'orchestra dalla Radio che
avevo fondato. Avevo eseguito diversi concerti che erano stati
recensiti bene. Non avevo il coraggio di farmi vedere da Toscanini
anche se desideravo moltissimo conoscerlo. Ero però amico di Wally,
la figlia di Toscanini, e fu lei che un giorno mi telefonò
dicendomi: "Papà vuole vederti". Andai nella loro casa,
in via Durini, con il cuore che mi batteva forte per l'emozione.
Pochi giorni prima avevo diretto un'opera alla radio e Toscanini,
quando mi vide, prima ancora di salutarmi, mi disse: "Ho
sentito l'opera alla radio, non la conosco, ma i tempi erano
giusti".
<<Fu
subito cordialissimo. Sembrava che ci conoscessimo da sempre. Nacque
un rapporto indimenticabile. Quando dirigevo, veniva alla Scala,
spesso anche alle prove, mi dava consigli, si discuteva insieme.
Aveva una casa all'Isolino, sul lago Maggiore e andavo da lui, con
mia moglie, stavamo là tre, quattro giorni, a parlare di musica.
Era un grande direttore, un vero "servitore" della musica,
è stato lui a insegnarci a rispettare
gli spartiti, ma era anche un grande uomo, che non si è mai servito
della musica per interessi personali>>.
<<Lei
ha conosciuto i grandi direttori, quelli che a loro volta avevano
conosciuto i mitici compositori dell'Ottocento, ha quindi una
conoscenza e un'esperienza che affondano le radici nel cuore della
musica: perchè non tiene lezioni di direzione d'orchestra?>>.
<<Perchè
sono convinto che questa professione non si possa insegnare. Se si
tratta di parlare di partiture, di criteri di interpretazione lo
posso anche fare. Ma insegnare il gesto per esprimere il mondo
musicale che uno ha dentro, è impossibile. Come ho già detto, da
giovane ho avuto la fortuna di suonare con i più grandi direttori
del passato: ognuno aveva un suo modo di dirigere. De Sabata e
Guarnieri, per esempio, erano due grandissimi direttori con tecniche
completamente opposte. Poi c'è il fatto che non mi sentirei a mio
agio nel ruolo di "maestro", di insegnante. Io sono
convinto che ho ancora tanto da imparare. Qualche volta dei giovani
mi chiedono di assistere alle prove che faccio con l'orchestra e al
termine vengono a parlare con me. Questo mi fa molto piacere e sono
felice se posso dare dei consigli utili>>.
<<Quali sono i
segreti per diventare un grande direttore d'orchestra?>>.
<<Non
ci sono segreti. Ritengo che sia molto utile studiare a fondo
composizione ed esercitarsi a scrivere musica per imparare, con la
fatica della mano, le strutture di un brano musicale. E poi bisogna
conoscere l'orchestra. L'orchestra non è uno strumento, ma un
insieme di esseri umani che suonano degli strumenti. Il bravo
musicista non è quello che esegue esattamente ciò che è scritto,
come farebbe una dattilografa. Il musicista deve dare qualcosa di se
stesso, la "sua partecipazione vitale". Solo allora la
musica diventa "viva". Tocca al direttore creare le
condizioni perchè si realizzi la "partecipazione vitale"
di tutti i professori d'orchestra>>.
<<Dopo una lunghissima carriera e innumerevoli concerti tenuti in
tutto il mondo, cosa prova prima di salire sul podio?>>.
<<Ho
una tremenda paura. Se potessi, scapperei. Mi prende una stretta
allo stomaco e non riesco né mangiare né bere. Faccio addirittura
fatica a reggermi in piedi. Ma è bene che sia così. Spero di aver
sempre paura. Il giorno in cui salirò sul podio senza questa
angoscia, vorrà dire che sono entrato nella "routine" e
sarà la fine. Però, nel momento in cui mi chiamano passa tutto.
Entro in uno stato di estrema serenità, quasi in una
"trance". In quel momento inizia quell'"atto
d'amore" di cui le ho parlato. La musica diventa mia e vivo
momenti indicibili. Non sento neppure la fatica. Ci sono esecuzioni
che richiedono anche un tremendo sforzo fisico, ma non lo sento. Ho
le energie e lo slancio di quando avevo trent'anni>>.
<<A proposito,
come fa a mantenere un fisico così asciutto e snello?>>.
<<Non
faccio ginnastica, nè seguo diete. Durante i concerti e durante le
prove faccio delle sudate tremende che mi fanno perdere ogni volta
dei chili>>.
<<Che effetto le
fa essere conosciuto ed amato in tutto il mondo?>>.
<<Sarebbe
ingiusto e stupido affermare che la popolarità e il successo mi
lasciano indifferente. Però non mi soffermo mai a pensare a questi
dettagli del mio lavoro. Il direttore d'orchestra Giulini, non lo
conosco. Io sono una persona come tutti, che fa un certo mestiere e
si diverte a farlo. Non bisogna mai portare a casa l'applauso.
Bisogna lasciarlo in teatro, nella sala da concerto perchè il vero
significato dell'applauso è un "grazie" prima al
compositore e poi ai musicisti che eseguendo quella musica hanno
dato gioia>>.
<<Lei
mi ha detto, e lo ripete spesso, che la cosa più bella e preziosa
della sua vita è la famiglia>>.
<<E'
proprio così. Prima di essere un musicista, io sono una persona
umana e nella mia avventura in questo mondo ho avuto la fortuna di
crescere in una famiglia meravigliosa e di avere una famiglia
straordinaria.
<<L'uomo
è un essere misterioso. Io sono credente,
cristiano, e, secondo la mia fede, so che l'uomo, con lo
spirito, sopravvive alla sua morte fisica e che, in un futuro, come
ha promesso Gesù, ci sarà anche la resurrezione dei corpi per
continuare la vita in una dimensione di felicità e di amore, che ci
viene indicata nel Vangelo come il "regno dei cieli". E'
una visione della realtà futura che sembra fantastica, ma alla
quale credo profondamente per dono di Dio. Ebbene, in questo disegno
è chiaro che il valore della "persona" e di tutto ciò
che comporta l'esistenza della persona, acquista prospettive
inaudite. La famiglia, per me, non è solo un gruppo di individui
legati tra di loro con vincoli di sangue, è il seme di quel
"regno dei cieli", fatto di dedizione e di amore, a cui
siamo destinati.
<<I
miei genitori vivevano queste convinzioni. Me le hanno trasmesse. Ho
avuto la fortuna di trovare una moglie, Marcella, che aveva la mia
stessa visione della vita e per noi la famiglia è stato ed è
tutto>>.
<<Da tempo sua
moglie è ammalata>>.
<<Il
30 dicembre del 1980, Marcella è stata colpita da un aneurisma, che
ha offeso la parte sinistra del cervello, quella che presiede ai
meccanismi della parola, ma per fortuna ha lasciato intatta la parte
dei sentimenti, delle emozioni.
<<Marcella
è stata la mia vita. Mi sono innamorato di lei a 24 anni e da
allora l'amore non è mai mutato, anzi è cresciuto sempre. Lei era
tutto per me. Quando si è ammalata mi sono sentito morire. Volevo
abbandonare la musica per starle vicino, giorno e notte. Ma poi ho
capito che questo lei non lo avrebbe approvato. Così ho deciso di
tenere concerti restando sempre vicino a casa. Ho rinunciato agli
impegni che avevo in America e nelle altre nazioni lontane
dall'Europa. Ha diminuito di molto la mia attività. Non resto mai
lontano da casa più di quattro, cinque giorni. Lei lo sa, conta i
giorni e mi attende. Quando ritorno, sul suo volto c'è una grande
felicità. Se stessi via di più, soffrirebbe e questo non lo
permetterò mai.
<<Da
14 anni la mia vita è molto difficile. E' una sofferenza tremenda.
Ma una sofferenza che sopporto per amore di Marcella, insieme a
Marcella. E così anche questa tragedia ci ha uniti ancor di più.
<<Intorno
a noi ci sono i miei tre figli: Stefano, che è un cardiochirugo,
docente universitario in chirurgia; Alberto, pittore, e Francesco,
architetto. E poi le nuore e sei nipotini. Una famiglia molto
unita>>.
<<Lei
è molto conosciuto in Giappone. Qualcuno ha scritto che in autunno
dovrebbe andare in tournèe in quel Paese con l'Orchestra
Filarmonica di Vienna>>.
<<Amo
il Giappone. E' un Paese nobile. La mia attuale casa discografica,
la Sony, è giapponese. Perciò mi piacerebbe molto fare una tournée
nella Terra del Sol Levante, ma non è possibile. Per le ragioni che
le ho detto: non posso stare lontano da mia moglie.
<<In
Giappone sono stato tre volte. Ricordo l'attenzione del pubblico, il
suo modo di seguire la musica con preparazione e competenza, la
bellezza delle sale da concerto, che hanno una sonorità incantevole
e l'incredibile ospitalità della gente. In poco tempo, i giapponesi
hanno perfettamente assimilato il nostro mondo musicale, che è
estraneo alla loro cultura, dimostrando una intelligenza e una
duttilità mentale incredibili. E' un popolo veramente
straordinario>>.
<< Quali sono i
suoi prossimi impegni?>>.
<<Sto
terminando per la Sony l'incisione delle Nove Sinfonie di Beethoven.
Poi inciderò la “Messa in si minore” di Bach. Ho vari concerti
in Europa e tanti progetti. Ho compiuto ottant'anni ma il mio animo
ne ha sempre venti, e allora continuo a sognare e a far progetti>>.
Nota. Carlo Maria
Giulini ha smesso di dirigere nel 1998,
dopo un leggero malore che lo aveva colpito sul podio. Da
quel momento, si era ritirato a vita privatissima, non aveva più
voluto neppure assistere ad un concerto. Diceva: “Con la musica ho
chiuso per sempre. Non posso più neppure ascoltare i miei dischi.
Mi danno troppe emozioni e le emozioni sono nocive alla mia
salute”. In realtà, aveva dato un taglio netto con il suo passato
tanto glorioso perchè, nel frattempo, aveva perduto la moglie
Marcella. E, senza Marcella, non provava più alcun interesse per le
vicende di questo mondo.