Caro Tony e cari lettori dell’angolo che Tony ha voluto riservarmi,

nel mio ultimo scritto, ho raccontato l’incontro che ebbi, nel 1968, con Maddalena Carini, la prima donna italiana la cui guarigione, avvenuta a Lourdes il 15 agosto 1948, era stata poi dichiarata autentico miracolo dalla Chiesa.

Quando si parla di miracoli, molti, anche cattolici, storcono il naso. <<Sono cose del passato>>, dicono.

Un giorno, durante una trasmissione radiofonica, dove ero stato invitato a parlare sul mio libro “Padre Pio il santo dei miracoli”, mi sono trovato di fronte a un tale, che veniva presentato come uno scienziato. Rideva, sentendomi parlare di miracoli. <<Non offendiamo l’intelligenza dei nostri ascoltatori>>, disse. <<I miracoli sono cose del Medioevo. Si parlava di miracoli quando la scienza non riusciva a spiegare certe fenomenologie complesse. Oggi, niente sfugge alla scienza. La scienza spiega tutto. Anche la Chiesa lo ha capito ed ha smesso di parlare di miracoli. A Lourdes, per esempio, i miracoli non avvengono più>>.

Inutile dire che quel signore non era informato. La Chiesa non ha mai smesso di parlare di miracoli. Ogni beatificazione e ogni canonizzazione richiedono un miracolo. E sappiamo che queste cerimonie sono continue a Roma. Giovanni Paolo II, nei suoi 25 anni di Pontificato, ha elevato alla gloria degli altari, tra santi e beati, circa 2000 persone e questo significa che la Chiesa ha “riconosciuto” ufficialmente almeno 2000 miracoli.

A Lourdes le guarigioni prodigiose non hanno mai smesso di verificarsi. L’ultima risale alla fine di agosto, esattamente il 27 agosto. Si è verificata alle ore 21, durante la tradizionale processione con le candele accese. Protagonista, Giuliana Mongelli Tofani, romana. Una guarigione che ha stupito medici ed esperti. E’ naturalmente prematuro parlare di “miracolo” in questo caso, perché la Chiesa è prudentissima, e quindi si riserva di controllare l’evento attraverso processi che durano a volte anni ed anni. Ma il fatto è impressionante.

A quel presunto scienziato, che era in trasmissione con me e che rideva sui miracoli, ho spiegato che non è la Chiesa a proclamare i miracoli, ma sono gli scienziati. La Chiesa, quando si trova di fronte a una guarigione prodigiosa, la affida a una commissione di famosi medici, non sempre credenti, e chiede a loro di spiegarla. Solo se quella commissione, dopo lunghi accertamenti, conclude che la guarigione è “scientificamente inspiegabili”, procede a verificare se si tratta di un miracolo.

Comunque, per fortuna, ci sono anche grandi scienziati che credono nei miracoli. Il professor Antonino Zichichi, per esempio. Zichichi, professore ordinario di fisica superiore all'università di Bologna, fon­datore e direttore del Centro di cultura scientifica “Ettore Majo­rana” di Erice, è uno scienziato di altissima fama internazionale. Ha scritto un libro dal titolo Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, nel quale afferma: «Il miracolo è qualcosa alla cui spiegazione l'uomo non arriverà mai usando ragiona­menti logici. Se, infatti, fosse possibile comprendere il miracolo usando la logica, dovrebbe essere altrettanto facile arrivare alla comprensione del teorema di Dio. E visto che una verità scien­tifica si può sempre riprodurre, si dovrebbe riuscire anche a ri­produrre un miracolo. Ma il miracolo è opera divina, una ma­nifestazione diretta di una entità che è troppo grande per essere riproducibile dalle due più straordinarie conquiste del­l'intelletto umano, la Logica e la Scienza». E dice ancora: «Non ho mai avuto difficoltà a fare coesistere in me fede e mentalità scientifica. In realtà, ogni esperimento che noi uomini di scienza intraprendiamo è una domanda posta al Creatore di tutte le cose».

E voglio qui ricordare il racconto di un famoso premio Nobel, Alexis Carrel, medico e fisiologo francese, che visse dal 1873 al 1944. Nel 1912 gli venne attribuito il Nobel. Ebbene, Carrel, quando era giovane medico, ed era allora agnostico, fu testimone diretto di uno strepitoso miracolo a Lourdes, che si realizzò proprio sotto i suoi occhi e rivoluzionò la sua vita.

Il fatto, che avvenne nell’estate 1903, esattamente cent’anni fa, è poco noto. Ma esiste un diario che Carrel tenne in quell’occasione, dove egli racconta dettagliatamente la propria esperienza. E quel diario venne pubblicato dalla signora Carrel, nel 1949, cinque anni dopo la morte dello scienziato. In Italia arrivò nel 1956, pubblicato dalla Morcelliana con il titolo “Viaggio a Lourdes”.

Nel 1903, Alexis Carrel aveva trent’anni, ma era già famoso. Era assistente u­niversitario a Lione, dove si occu­pava di anatomia e di scienze spe­rimentali e dove aveva iniziato quelle ricerche che gli avrebbero poi fatto conquistare il Nobel.

Era scettico. Non credeva cioè in Dio. In famiglia aveva avuto un'educazione religiosa, ma poi, assorbito dagli studi scientifici, affascinato dallo spirito della filo­sofia tedesca s'era convinto che, al di fuori dell'indagine razionale dei fenomeni, non esisteva certez­za alcuna.

Le sue idee religiose erano state distrutte dall'analisi sistematica. Era tuttavia affascinato dalle vicende misteriose che si verificavano a Lourdes. Leggeva avi­damente le cronache e le polemiche e desidera­va molto trovare l'occa­sione per poter control­lare di persona uno di quei fatti scientifica­mente inammissibili, di cui ogni tanto i giornali scrivevano.

Un giorno, un suo collega credente doveva andare a Lourdes con un treno di ammalati, ma impegni improvvisi lo costrinsero a rinun­ciare. Chiese a Carrel se voleva sostituirlo e il giovane medico accettò volentieri. Finalmente, ecco l'occasione che tanto aveva desiderato. Portò con sé tutti gli strumenti medici che ri­teneva potessero esser­gli utili.

Poiché, come ho detto, era già famoso, la sua presenza su quel treno in viaggio per Lourdes incuriosì subito. Attirò l'attenzio­ne soprattutto degli altri medici che accompa­gnavano gli ammalati. Stavano intorno a lui, discutevano, gli raccon­tavano esperienze di cui erano già stati testimo­ni. «Le guarigioni di cui voi mi parlate», diceva Carrel, «sono quasi sempre frutto di complicati pro­cessi psichici, frutto quindi di autosuggestio­ni. Solo nel caso di gua­rigione di una vera ma­lattia organica si potrebbe parlare di miracolo. Per esempio, una gamba ta­gliata che ricresce, un cancro che scompare, una lussazione conge­nita che improvvisamente guari­sce».

Mentre il treno procedeva la sua corsa verso Lourdes, Carrel volle esaminare i vari ammalati presenti e fece una classifica. Di tutte quelle persone, secondo il suo parere, soltanto quattro ave­vano malattie organiche la cui guarigione era assolutamente i­nammissibile. «Ecco», dichiarò agli altri medici che viaggiavano con lui, «se una di queste quattro persone guarisse, saremmo di fronte a un fatto veramente strepi­toso, tale da far crollare tutte le mie convinzioni scientifiche. In partico­lare questa ragazza», disse, indicando una giovane di cui si pren­deva cura personal­mente. «Si chiama Ma­ria Bailly, ha vent'anni e viene da Bordeaux. E’ affetta da una peritonite tu­bercolare all'ultimo stadio. Tutti i suoi pa­renti sono morti di tu­bercolosi. Non so nep­pure se arriverà viva a Lour­des. Ho già dovuto far­le delle iniezioni di caf­feina. Temo che mi muoia tra le mani. Ec­co, se guarisse questa disgraziata, sarebbe ve­ramente un miracolo. Ma è un fatto che non potrà mai avvenire».

Maria Bailly viag­giava in una specie di cassa da morto. I medi­ci avevano accolto il suo ultimo desiderio, fare quel viaggio, ma erano convinti che non sarebbe arrivata viva alla meta e per questo avevano già provvedu­to in modo che ci fosse l'occorrente necessario per rinviare il cadavere a Bordeaux.

A mano a mano che il treno procedeva ver­so Lourdes, le condizio­ni di Maria peggiorava­no. Carrel era continua­mente chiamato al suo capezzale per praticarle iniezioni di morfina.

E­gli teneva un diario. Dopo la prima visita fatta a Maria, aveva scritto in quel quaderno: <<Il corpo di questa ragazza è magro. Si posso­no contare le costole sotto la pelle tesa. II ventre è gonfio. La tume­fazione è quasi uniforme, ma un poco più voluminosa a sinistra. E­saminando il ventre con la mano, si sente che è teso da materie so­lide e, in mezzo, sotto l'ombelico, una parte più trattabile è piena di liquido: la forma classica della peritonite tubercolare. Le gambe sono gonfie tino al ginocchio. Le mani e il naso freddi. Le orecchie e le unghie sono coperte di una leggera colorazione olivastra. Si avvertono anche nei fianchi delle masse dure. Il cuore è impazzito. Non può durare più di un giorno ancora».

Arrivati a Lourdes, i malati furono portati in albergo. Il giorno dopo, Carrel si informò se Maria fosse ancora viva. «Sì», gli rispose la suora che as­sisteva la ragazza. «Ma sta peggio. Ha espresso però il de­siderio di essere portata alla piscina».

«E se muore per strada?», dis­se Carrel.

«Sareb­be crudele rifiutarle la grazia di andare nella piscina>>, rispose la suora. <<Ha affrontato il viaggio solo con questo desiderio. Non ha più nulla da perdere. Che muoia oggi o fra qualche giorno, non cambia granché>>.

Carrel volle visitare ancora l’ammalata. Lo fece insieme con altri colleghi. « È in ago­nia», disse alla fine. «Può morire da un mo­mento all'altro».

La suora accom­pagnò egualmente Maria alla piscina, ma non fu pos­sibile immergerla. Le bagnarono il ventre con un panno inzuppato nell'acqua. Poi la ragaz­za, con un fil di voce, disse che voleva essere accompagnata alla grot­ta. La suora la accon­tentò ancora.

Lungo il tragitto, incontrarono Carrel che volle seguire la barella. Maria venne sistemata in prima fila, davanti alla statua della Madonna nella grotta. Nel suo diario Carrel annotò che forse non sapeva neppure dove si trovava perché più morta che viva.

La folla stava pregando. Il medico sentiva una potente tensione, che sfuggiva a ogni analisi. Ogni tanto controlla­va la sua assistita. Improvvisa­mente gli parve che il respiro non fosse più affannoso. Le prese il polso: era ancora disordinato, ma meno di prima. Chiese a un suo collega: «Vede un miglioramen­to?».

«No, non mi sembra», rispose il collega..

La cerimonia religiosa procedeva. Le preghiere, le invocazioni, i canti continuavano a levarsi nell'aria. Carrel ascoltava, distaccato, freddo, ma il suo sguardo non perdeva un attimo la paziente. Continuava a sentirne il polso, a toccarne il ventre, la fronte.

L'impressione di un lieve miglio­ramento si consolidava. Con incredibile stupore, Carrel aveva notato che il grosso ventre di Ma­ria, ansimante sotto la coperta marrone, si stava sgonfiando. Era un fatto inspiegabile, inammissi­bile, che si stava verificando pro­prio sotto i suoi occhi, sotto il suo controllo.

«Qui sta accadendo qualcosa», disse Carrel al collega medico.

Dopo qualche minuto, ebbe un brivido. Il polso della ragazza era diventa­to normale. Il grosso ventre gon­fio era sparito. II viso di Maria a­veva perduto il pallore. Non c'e­rano più dubbi, tutti i sintomi del­la malattia se ne erano andati, co­me foglie inutili portate via dal vento.

Carrel continuava a tastare quel corpo che non era più sformato. I suoi occhi luccicavano di sconcerto e di commozione. La ragazza, non più assente, ma in piena conoscenza, lo guardava e sorrideva. «Sto bene», disse ad un certo momento e chiese a Carrel che la aiutasse ad alzar­si. Era guarita.

Il medico, il grande medico, il futuro premio Nobel, era frastor­nato. Come egli stesso scrisse nel suo diario, una terribile emozione gli attanagliava la gola. Sentiva il bisogno di piangere, ma non lo fece. Continuò il suo lavoro di medico, cercando di mantenersi freddo. Accontentò la ragazza. La aiutò a sedersi sulla barella. Maria stava dritta senza sforzo, cosa che non riusciva a fare da mesi. Poi la accompagnò in albergo. La visitò meticolosamente. Nel suo corpo non c'era più alcuna traccia della malattia. Il ventre, prima gonfio come un pallone, era diventato piccolo e morbido come quello di una ragazzina.

Finito il meticoloso controllo, Alexis Carrel uscì dall'albergo. Era agitato. Impossibile restare chiuso in camera. Continuò a camminare per la città, fino all'alba, in preda a un turbinio di pensieri e di emozioni. Che cosa sia accaduto nel suo cuore in quelle ore, non si sa. Al mattino, Carrel era cambiato. A Lourdes, quella notte, erano accaduti due miracoli: la guarigione di Maria Bailly e la conversione di un grande scienziato.

Renzo Allegri