Il cittadino - 15/07/2002


Fombio Il cantautore romano ha parlato di sé, della fede e del successo che può generare un delirio di onnipotenza
A Retegno un piccolo grande uomo
L'oratorio ha ospitato l'incontro amichevole con Claudio Baglioni

Fombio «Non in so quanti hanno creduto subito che Baglioni sarebbe davvero venuto qui a Retegno. Io non ci ho creduto nemmeno quando l'ho sentito direttamente dalla bocca di don Alberto». Vincenzo Anelli, sindaco di Fombio, a fine serata è ancora incredulo per la presenza eccezionale di Claudio Baglioni nel cortile dell'oratorio San Filippo Neri di Retegno. L'evento si è materializzato sabato grazie all'intervento di don Alberto Curioni, residente nel piccolo paese e amico personale di Baglioni da quando 4 anni fa lo ha intervistato telefonicamente per il «Giornale dei chierichetti» del seminario.
Lui non si è tirato indietro e con il sorriso sulle labbra ha risposto per circa 50 minuti alle domande che dal pubblico (oltre 400 p ersone nonostante la riservatezza con cui era stato preparato l'incontro) gli venivano rivolte. «Quella di questa sera - ha detto don Alberto - vuole essere solo una chiacchierata fra amici, per conoscere meglio un personaggio che per molti può apparire irraggiungibile. Cercheremo di conoscere insieme il suo lato umano, spontaneo e il suo modo d'essere». E quella che a fine serata è uscita dall'oratorio di Retegno è stata davvero una persona più simile a ognuno dei presenti, più umana e più comune. Baglioni ha infatti raccontato senza retorica o frasi fatte della sua esperienza di ragazzo dell'oratorio («un ricordo importante, perché è stato il mio primo ingresso nella società») e di catechista, del suo rapporto con la famiglia e con il successo e i segreti che gli hanno consentito di non perdere la testa. «Ho visto alcuni miei colleghi benedire le folle - ha detto - in preda a un delirio di onnipotenza che questo lavoro facilmente può dare. Ma ci sono i sistemi per non perdere la testa. Uno di questi per me è stato avere la possibilità di tagliare con questo mondo e prendermi dei momenti di pausa». Ha parlato delle delusioni, dei sacrifici («indispensabili in ogni lavoro per raggiungere una maggiore consapevolezza di se stessi»), dei compromessi che ha dovuto affrontare per «costruire» il suo personaggio, ma anche dei sentimenti provati quando per la prima volta ha avuto la sensazione di essere noto. «Era il '72 quando mi dissero che il mio disco era primo in classifica: allora compresi che la mia vita stava cambiando davvero. Ora ricevo lettere di fans che mi ringraziano per come li ho aiutati con le mie canzoni e questo è senza dubbio il regalo più bello che potessi immaginare, perché sento la fiducia che ripongono in me».
Alla fine ha rivolto una battuta anche ai giovani e alla loro difficoltà nel progettare un futuro. «Circolano troppi ideali fasulli, senza niente alle spalle e che non danno una prospettiva.
Sarebbe importante invece aiu tare il vicino a scoprire i veri ideali». E poi ha rivelato: «Ho sempre invidiato a mio padre la sua onestà morale, quel fare con tenacia ciò in cui si crede, anche se costa qualche livido. E credo che questo sia fondamentale». Alla fine le parole hanno lasciato spazio alla musica, con il solo accompagnamento di una chitarra. Quattro tra le canzoni più famose del suo repertorio ("Avrai", "Porta Portese", "Questo piccolo grande amore", "Strada facendo") hanno creato il momento più emozionante della serata. Nessuno voleva che Baglioni smettesse, ma poco dopo le 22 tutto era già finito e Claudio se ne è andato verso Bergamo, tappa del suo successivo concerto, rendendo vana la corsa per un autografo o una stretta di mano.

Davide Cagnola


 

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