Carissimo
Tony,
ti
mando in esclusiva per il tuo sito l'articolo che uscirà domani (nota di Tony:
2 Marzo 2005) sul
Sannio (Le Vie Della Musica), spero ti e vi piaccia.
Musica,
immagini, ricordi: si chiude in grande il viaggio di Claudio Baglioni
Cresco, cerco e... canto
Doppio cd e triplo DVD dal vivo a
conclusione del lungo tour
Disco.
Tournèe. Cd dal vivo. DVD. Una trafila obbligata per ogni artista, un
meccanismo inesorabile per attraversare indenni le turbolenze del mercato
discografico. Claudio Baglioni non rifiuta le regole del gioco ma punta più in
alto con la sua nuova idea: sarà per la laurea in tasca, per gli anni che
passano, per l’insopprimibile voglia di osare, cambiare e stupire.
“Crescendo e Cercando” è un progetto ambizioso: il riassunto di
cinquantatre anni di vita raccontata in canzoni, portate a spasso nei templi del
rock (i Palazzetti dello sport) e della musica classica (l’Auditorium di
Roma), nei templi antichi (ad esempio quello greco di Paestum) e in quelli
insoliti che assumono la forma di musei ferroviari e gazometri, ville signorili
e palazzi principeschi. Doppio cd e triplo DVD sono il souvenir da questo lungo
viaggio, inaugurato a Torino al tramonto del 2003 (Tour “Crescendo”),
snodatosi nell’estate del 2004 (Tour “Cercando”), concluso all’alba del
2005 con due concerti nelle piazze (“E festa sia”) e un frizzante inedito
che dà il titolo all’insieme. Baglioni e la sua musica hanno visitato tanti
luoghi di interesse storico e artistico, facendo infine da testimonial per
“L’arte è vita: vivi l’arte” (la campagna del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali) con un videoclip girato nel Colosseo.
Il
doppio cd è l’ennesimo nella sconfinata discografia live dell’artista
romano. Iniziò con il celebre “Alè-Oò” nel 1982 e da allora ci ha preso
gusto - ai limiti del vizio… - realizzando live-album in tutte le salse: da
solo, con rock band, su un autotreno giallo, in formazione acustica, immerso
nella tecnologia, lanciando puntualmente testimonianze e resoconti dai suoi
oceanici happening. D’altronde Baglioni non è nuovo ai record, pur cantando
“non avrei voluto essere il primo della classe” sopporta primati e relativo
fardello: appena uscito, il pacchetto “Crescendo e Cercando” è schizzato ai
vertici delle classifiche, a dispetto del prezzo. Qualche soddisfazione dovrà
pur togliersela uno che ha passato più tempo negli alberghi e nei camerini che
a casa sua.
“Crescendo”,
il rombo di motore che ha dato il via al progetto, ruota proprio attorno al
concetto (tutto baglioniano, of course) di casa: è sul palco che si costruisce
- mattone per mattone, nota per nota, canzone per canzone - un’ideale casa
della musica. Baglioni parte da lontano, sorprende con un’inattesa
“Yesterday” poi punta subito al cuore del suo pubblico. “Noi no”: ancora
solo, abito nero da rocker consumato, riff elettrico alla chitarra,
musicisti che arrivano uno ad uno sul palco ancora coperto di tappeti e
stracci. E’ una cantina buia dove si aspetta e si sogna: “noi che mai
finimmo di aspettare, provando a vivere e non vogliamo andare in Paradiso se lì
non si vede il mare”. La cantina: polvere, sogni, speranze, fatica, ombre,
odore di cose accantonate per disinteresse, riscoperte con stupore e gioia. E’
un’idea che dà la stura all’intero tour, nel quale Baglioni ha riscoperto
molte perle del suo passato, le ha offerte al pubblico dando tutto se stesso,
faticando non poco per farsi vedere su ogni lato del palco, giusto al centro del
palasport; nessuna bombola d’ossigeno, solo un elettrizzante ricambio di
energia tra pubblico e band.
Dunque
un tour nei palasport concepito come un percorso di crescita, spronato dal rock
tagliente di “Dagli il via”, scosso dall’incalzante “Un giorno nuovo o
un nuovo giorno”, un’ansia primaverile di novità che preme e scandisce la
costruzione della casa. E così si sciolgono melodie soffuse e jazz fumoso in
“Fotografie”, chiaroscuri tra le pieghe di “Tienimi con te”, una cucina
caotica e martellante in “E adesso la pubblicità”. I ricordi privati
dell’artista si intrecciano a quelli del pubblico: sulle note di “Ragazze
dell’Est” più di uno spettatore avrà ricordato quel lontano 1981 - uno
spilungone con zazzera e camicia di jeans aveva “Strada facendo” in cima
alle classifiche - accarezzandosi i capelli grigi. Non solo ricordi ma
un’intera vita in comune: “Crescendo e Cercando” è anche questo. Si
cresce, Baglioni non è più quel giovanotto introverso e scontroso: plana dal
volo metafisico di “Cuore di aliante”, va zigzagando tra rime geometriche e
libere associazioni in “Bolero”, fa il burlone nel trenino di “Serenata in
Sol”. “Il Dio della musica ci perdonerà”, aveva affermato a riguardo:
quel Dio ha perdonato ben altro e in tempi di Sanremo (che Claudio non ha mai
frequentato) avrà proprio un gran da fare. Anche il pubblico lo perdona: strofe
dimenticate e qualche vocalizzo di troppo, un dispiego di foulard per celare la
pancetta, disorganizzazione da manuale, un valzer di date annunciate, rimandate
e annullate, uscite di DVD doppioni.
Bolle
di sapone volano dal baule dei desideri, telescopi luminosi abbracciano il
pubblico, frenetici ritratti di famiglie al ritmo della pubblicità, il magico
incanto di “Acqua dalla luna”, le mille lucine che circondano “Sono io”.
Baglioni sperduto in mezzo al palco canta “Solo”: con lui ogni spettatore,
immerso nelle sue memorie. Tante figure si susseguono nei DVD, il terzo è uno
scrigno di immagini: tutto ciò che solitamente fa da appetibile contorno
diventa succulenta pietanza. Una vecchia locomotiva in disuso alle spalle di un
Baglioni solitario; smarrito con Paolo Gianolio e due chitarre nel Teatro Greco
a Siracusa; per pochi intimi tra il profumo dolce del Porto Vecchio di Trieste;
sotto il sole cocente di un pomeriggio romano al Gazometro. Stralci dal
backstage, un dietro le quinte in cui l’intero staff canta a squarciagola
“Strada facendo”; tutto condito con interviste e foto organizzate dalla
strategica regia di Duccio Forzano, abile nel far intravedere i segreti della
macchina baglioniana. Una macchina frenetica che, anche quando cerca soste e
ristoro in luoghi di pace, muove interesse e attenzioni, come accaduto per i tre
giorni a Lampedusa con la rassegna settembrina “O’ Scià”, ovvero “Odori
Suoni Colori d’Isole d’Altomare”. Ricordi su ricordi, impressioni su
impressioni: Baglioni li fotografa da vero “poeta dell’immagine”, in quel
gioiello di “Amori in corso” e nella recente “Quei due”, un nuovo
classico che conferma il suo inimitabile gusto descrittivo. Arte per l’arte:
un concetto importante che però gli è costato il disinteresse di tanta
critica, più generosa con un collega come De Gregori, un cantautore che ha
affondato la penna tra i risvolti interrogativi del quotidiano e della Storia,
ne ha sondato i motivi evitando la ricerca puramente estetica.
L’itinerario
all’insegna dell’abbondanza si conclude all’Auditorium Parco Della Musica
di Roma. Sala Santa Cecilia: Baglioni ci entra in punta di piedi, quasi
impettito, come un invitato un po’ schivo in imbarazzo a una cena di gala.
Basta una “Strada facendo” a sei chitarre - neanche fossero gli Eagles - a
sciogliere il ghiaccio, il consueto incipit tra le pagine dell’immenso
canzoniere del romano, sfogliate con sorprendente attualità. “Io sono qui”
è scoccata con la grazia di un arciere provetto, “Signora delle ore scure”
si bea di un arrangiamento di seta, “Male di me” è un graffio rock che si
avvicina all’ultimo Peter Gabriel. Baglioni sprigiona di nuovo sonorità
internazionali, accostandosi a Sting (la morbida “Un mondo a forma di te”) e
alla West Coast (“Chi c’è in ascolto”), sfruttando il talento dei due
englishman della sezione ritmica, John Giblin e Gavin Harrison. “Ancora la
pioggia cadrà” catturerà gli sfegatati degli UK (Pio Spiriti sfida Eddie
Jobson al violino), “La vita è adesso” è irrobustita a dovere, l’hard
rock di “Via” è pura adrenalina. Spicca l’immensa abilità del
polistrumentista Roberto Pagani: con musicisti del genere si può fare di tutto,
anche pretendere che restino defilati per non offuscare il Divo Claudio. Il
pubblico - fedelissimi cavalieri in bianco e nero, a immagine e somiglianza del
loro ispiratore - apprezza e ricambia. Il concerto diventa così una dimensione
sacrale, catartica, una rigenerazione per artista e ascoltatore. Non manca il
tuffo nella poesia del Baglioni d’antan, quella giovanile, un po’ goffa,
ingenua, quella che dall’altra parte c’erano eskimo e molotov. Si ha la
sensazione che egli abbia finalmente fatto pace con il suo passato, anche a
fronte delle forme comunicative più dirette dell’ultimo lp “Sono io –
l’uomo della storia accanto”. La condizione del trattato di pace è un
medley in cui persino “Poster” viene riveduta e corretta in chiave rock. Fa
capolino anche “Con tutto l’amore che posso”: 1972, vent’anni, due
cavalli gialla e capelli lunghi, una serenata semplice e toccante. E’ così
quando Claudio spoglia i suoi classici: prende voce e chitarra, li denuda e
mostra il loro fascino strano, un po’ acerbo, come i primi seni che
sorprendono una confusa dodicenne.
Doppio
cd e triplo DVD: termina così l’opulenza baglioniana. L’abbondante overdose
non stupisce: in fondo di vacche magre Claudio ne ha scorta qualcuna solo in un
remoto angolo degli anni ’80. E’ la sua ultima promessa che scuote: un anno
di riposo. Un brivido avrà percorso la schiena degli aficionados, timorosi di
quelle lunghe e silenziose pause che il romano era solito alternare tra un disco
e l’altro. In quei tempi così dilatati egli scendeva nella sua fossa delle
Marianne, scrutava dentro di sé affinando la sua penna: oggi è sicuro, magari
spavaldo, senz’altro più presente. Dopo un lustro iperattivo un bel riposo è
più che auspicabile, anche pensando ai suoi fans, ai quali è stato facile
diventare dipendenti. “Sono nato anch’io sotto un passaggio di stelle”:
caro Claudio, arrivederci al prossimo. Ma non tardare.
Donato
Zoppo