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Mi sentivo invisibile. Comincia così questo viaggio alla ricerca dell'identità di un'anima divaricata tra "l'idea che il mondo sia lì, a un passo, e che basti allungare la mano per prenderlo" e "il sospetto che non sappia nemmeno che esisti e... che non lo verrà a sapere mai". Siamo alla fine degli anni '60. L'anima è quella di un ragazzo di una periferia pasoliniana, che attraverso la musica cerca se stesso, il senso e la direzione del proprio viaggiare. Ed è proprio quello dell'identità e del rapporto con il tempo, inteso sia come dimensione personale che universale, il tema principale intorno al quale ruotano non solo queste pagine, ma anche la doppia vicenda di uomo e di artista di una delle voci più intense e amate della musica popolare italiana: Claudio Baglioni. Senza musica, perché per la prima volta Baglioni usa parole nude, senza affidarle o nasconderle dietro la materia che gli è più congeniale, e senza le licenze e gli artifici che la musica consente. Nudo, e dunque anche libero dalla rigidità inviolabile dei versi e dai tempi - fin troppo angusti - di una canzone, lasciando respirare i pensieri e interrogandosi su temi che difficilmente riescono a trovare spazio nei tre minuti e trenta nei quali sono ormai confinati linguaggi e categorie del pop. Risultato: una conferma per chi ha seguito l'evolversi della sua vicenda personale e artistica; una sorpresa per chi si è fermato in superficie. Per tutti, un'importante occasione di riflessione e confronto, insieme a quella che si rivela una voce attenta, incisiva, lontana dai luoghi comuni, capace di scendere in profondità, raccogliere e generare senso. Un percorso non legato alla cronologia ma ai temi, che non intende seguire l'evoluzione - pure evidente - di uno stile narrativo, ma capire con quali occhi l'uomo e l'artista guardino il mondo, e cosa sia possibile ricavare dalla particolare angolazione e filigrana del loro sguardo. Ecco, allora, incrociarsi e fondersi i ritagli di un diario personale, le ironiche riflessioni su ambiguità e contraddizioni del presente, i dietro le quinte dei principali tour e progetti discografici, ma, soprattutto, un confronto, intenso e appassionato, con i grandi temi di questo tempo troppo ricco di domande e troppo povero di risposte. Il tutto senza mai rinunciare al filtro misurato della poesia. C'è la pace che "piange e si dispera", in favore della quale Baglioni si schiera senza se e senza ma. Perché non è pace "la parola brutta, il problema, la causa del male, qualcosa di cui vergognarsi", così come non è guerra "la parola forte, che illumina, l'unica che può essere pronunciata da chi capisce davvero come vanno le cose a questo mondo". La guerra, al contrario, è "l'unica malattia mortale che l'uomo non contrae, ma genera". Guardando l'ola infinita che scuote il mondo in un no alla guerra che negli ultimi trenta anni non era mai stato così forte, Baglioni si chiede "in nome di chi si governa, quando si rifiuta di ascoltare la voce del demos?". Parte da qui il rischio di un vero e proprio harakiri della democrazia. Quando la maggioranza è composta da chi sta meglio, si finisce inevitabilmente col tutelare i diritti dei più forti, e la democrazia rischia di perdere una delle sue istanze più alte. Un tema che rimanda a quello della centralità dell'uomo e del suo rapporto con il tempo, sul quale Baglioni torna a più riprese per il bisogno, quasi l'urgenza, di sottolineare come sia proprio l'uomo il contenuto e la qualità più grande del contenitore tempo e come spetti a lui "dare forma al tempo e non lasciarsi deformare".  Allo stesso modo occorre acquisire una nuova coscienza dell'altro da sé. Il prossimo inteso non solo come chi ci sta vicino, ma anche come "chi sta per arrivare". Incontrare i "non uguali", allora, non significa piegare, ma spiegare. Conoscere e farsi conoscere. E, soprattutto, fuggire l'errore più grave: la cecità del non riconoscere né il diritto né il valore delle "diverse uguaglianze". Quelle che, a propo- sito di immigrazione clandestina, Baglioni chiama le "anime calpestate". L'immigrazione è causa, certo, ma prima ancora effetto del grave squilibrio mondiale nella distribuzione delle ricchezze. Un effetto che sarà certamente causa di ulteriori squilibri. Ecco perché "sarebbe pericolosamente miope non rendersi conto del fatto che, se non riteniamo che spetti a noi curare quel primo squilibrio, dobbiamo almeno intervenire per scongiurare i secondi". Un tema, l'immigrazione, di fronte al quale "prima ancora di essere capaci di parole, dobbiamo essere capaci di silenzio. Il silenzio che serve a percepire il battito appena udibile di un cuore. Ma non il nostro. Il cuore dell'altro". E non ci deve mai abbandonare la consapevolezza di essere una "casta maledettamente ignorante e sprecona", senza rispetto per il cibo e falsamente inconsapevole del fatto che "un uomo che non ha di che nutrirsi non può chiamarsi uomo". Il ragazzo di Centocelle da tempo non è più un ragazzo, ma non dimentica "l'ossessiva abitudine" del padre "di raccogliere con il polpastrello dell'indice le briciole di pane sparse sulla tavola: 'Per queste ci vogliono tre chicchi di grano e non vanno perse'". Nasce da qui il forte richiamo a dividere, non quello che avanza, ma quello che c'è. Nemmeno la storia, in questo senso, aiuta. "Non ha mai insegnato niente a nessuno," rileva Baglioni. "Non perché sia una cattiva maestra, ma perché ha tra le mani un pessimo scolaro. Un perenne ripe- tente." Purtroppo, anche la memoria ha le gambe corte. E perdere la memoria significa perdere l'identità. Ecco, allora, la necessità di riconoscere e tutelare il valore di ogni storia, anche la più piccola. Anche se siamo "pioggia su vetro", infatti, sono proprio le "piccole storie, queste gocce apparentemente insignificanti, il sale della storia. La filigrana che la tiene unita e le dà senso". Affidata all'articolo che chiude questa raccolta, e ispirata dalle parole di un altro musicista, la risposta a tutti i quesiti che fanno vibrare queste pagine: Love is the answer. L'energia più grande che l'uomo sia in grado di produrre: "il miracolo che rende l'uomo capace di miracoli". Un'energia che "se fosse bussola e sestante per la nostra navigazione", ci consentirebbe di capire che "la risposta a molte delle piccole, grandi domande che ci piovono addosso e dalle quali spesso ci sentiamo perseguitati, è più vicina di quanto immaginiamo". Un viaggio senza fine, quello alla ricerca di identità e senso. Un viaggio in cui, più della meta, conta il viaggiare e nel quale, forse, possono aiutarci a non smarrire la rotta e la voglia di continuare a cercare anche alcune di queste parole senza musica.

Giuseppe Cesaro