L’incredibile
storia di un ragazzo che ha trasformato il dolore più grande in una
fonte meravigliosa di luce.
Alessio
Tavecchio ha trentacinque anni e da dodici è costretto su una sedia
a rotelle. Potrebbe essere avvilito, amareggiato, incattivito contro
un destino che con lui è stato spietato. Invece, no. Alessio ha un
entusiasmo per la vita che poche persone possono vantare.
<<Nonostante tutto, sono un uomo felice>>, mi dice
allargando il viso in un irresistibile sorriso.
E’
un vulcano di attività. E’ un atleta, si allena tutti i giorni ed
ha anche gareggiato nelle finali di nuoto alle ParaOlimpiadi per
disabili ad Atlanta nel 1996. E’ uno scrittore, e il suo libro “Storia
di una guarigione impossibile (Edizioni
Mediterranee) ha già superato le 50 mila copie. Quattro anni
fa, ha creato una Fondazione che porta il suo nome e che si prefigge
di aiutare le persone disabili. Partecipa a trasmissioni televisive,
dibattiti, eventi sportivi, tiene conferenze, organizza iniziative
benefiche, si dedica senza riposo alla raccolta di fondi per
costruire un centro polifunzionale di accoglienza e formazione per
chi deve vivere su una carrozzina. Irradia una tale energia che
stargli accanto, anche per poche ore, significa arricchirsi di una
positività verso la vita che lascia senza fiato.
L’ho
incontrato nella sede della sua Fondazione, in una zona periferica
di Monza. E’
lui ad aprirmi la porta, a farmi strada nelle ampie stanze piene di
gente, di collaboratori, di computer, telefoni, scrivanie. Alle
pareti foto di Alessio durante le varie partecipazioni in TV,
accanto a Costanzo, Bonolis, Bruno Vespa. E poi la grande foto fatta
nel ‘96, durante le finali di nuoto ad Atlanta. <<Ho vinto
molte gare perché non ho mai smesso di credere di poter migliorare
e chissà, anche di guarire>>, mi dice.
Il
telefono squilla in continuazione. Alessio chiede scusa e va a
rispondere. Lo guardo mentre si muove sulla sedia a rotelle da un
tavolo all’altro, mentre controlla e-mail, firma documenti, torna
di nuovo a parlare al cellulare. Sorride sempre, tratta gli estranei
come fossero amici da una vita e per ognuno ha una battuta. In ogni
spostamento, Alessio è seguito dall’instancabile e divertito
yorkshire Lillo, anche lui membro dello staff.
Mi
viene spontaneo domandare a questo giovane dove trova tanta energia,
dove attinge tanto coraggio e tanta voglia di vivere pur essendo in
quelle condizioni fisiche. E la sua risposta secca e precisa mi
inchioda sul posto. <<E’ Mara la mia fonte di energia>>,
dice. <<Devo tutto a lei>>. Accorgendosi che mi sto
guardando in giro in cerca di quella ragazza, aggiunge divertito:
<<No, Mara non è qui. E’ una persona che ho incontrato in
una dimensione sospesa, mentre ero in coma dopo l’incidente che mi
ha paralizzato le gambe. Ti vedo confuso. Vieni, siediti che ti
racconto la mia storia.>>
Prendo
una sedia. Alessio si avvicina. <<Non sono matto. E’ la
verità. Ho incontrato Mara mentre ero in coma ed è stata
l’esperienza più misteriosa e intensa che si possa immaginare. I
medici avevano parlato chiaro: dovevo rassegnarmi a considerare la
mia vita finita. E invece la mia vita è cominciata proprio con
l’incidente, proprio dopo aver conosciuto Mara.
<<Tutto
è successo dodici anni fa. Avevo 23 anni, ero diplomato in
informatica e avevo iniziato gli studi universitari in ingegneria
elettronica. Ero un ragazzo pieno di sogni, mi piaceva divertirmi,
ero anche un po’ ribelle. Un giorno, mentre andavo in moto, ho
avuto un incidente. La moto è incappata in una buca nell’asfalto
e io sono stato sbalzato in avanti. Ho colpito con violenza un palo
e mi sono rotto la colonna vertebrale. Non solo, ma in seguito ad
una forte emorragia e poi ad un arresto cardiaco sono rimasto in
coma otto giorni.
<<Beh,
mentre la mia famiglia, all’ospedale, viveva attimi strazianti,
mentre i medici facevano ipotesi su quanto tempo sarei rimasto senza
conoscenza e sulle condizioni nelle quali sarei stato condannato a
vivere in seguito, io mi sono ritrovato fuori dal mio corpo. Ho
visto quella famosa luce di cui molti parlano ma soprattutto ho
incontrato una ragazza di nome Mara che mi è rimasta accanto
aiutandomi a capire cosa stava succedendo e dandomi la certezza che
su questa terra non siamo soli.
<<Vedi,
io non so chi fosse questa Mara. Forse era un angelo, chi può
dirlo? Ricordo perfettamente che era una ragazza molto bella, coi
capelli neri a caschetto e gli occhi chiari. Era
vestita con un maglione verde aderente e un paio di jeans. E aveva
un sorriso meraviglioso. La sua presenza era dolce, appagante, e io
avevo l’impressione di conoscerla da sempre, anche se ero certo di
non averla mia vista prima. Lei mi stava vicino, parlava con me, e
insieme facevano cose normali, di tutti i giorni. Era come vivere in
modo normale. I luoghi che vedevo e che mi circondavano erano quelli
di sempre. La mia città, i locali che frequentavo, le strade
familiari.
<<Io
non avevo coscienza di ciò che mi era successo, non sapevo nulla
dell’incidente. Non provavo dolore, ero sano, come sempre. Stavo lì,
con Mara, e mi sembrava tutto normale. E lei non mi diceva nulla di
quanto era accaduto. Era come se aspettasse che fossi io a
ricordare.
<<Il
fatto è che io non ricordavo. O meglio, non l’ho fatto subito.
C’erano dei dubbi che pian piano si facevano strada, avvertivo che
qualcosa non andava per il verso giusto ed era una brutta
sensazione. Ho cominciato a pormi delle domande sempre più
pressanti e alla fine mi sono trovato immerso in un buio totale. Di
colpo, c’era buio e freddo e ho provato la più grande paura della
mia vita.
<<Ero
avvolto da un’oscurità gelida, viscida, una cosa “viva” che
tentava di soffocarmi. Non sapevo cosa fare, non sapevo come uscire
da quella situazione e allora ho iniziato a invocare aiuto. Gridavo
forte, con tutto il cuore, con una disperazione e un bisogno degli
altri mai provati prima.
<<Poi,
improvvisamente mi è apparso di fronte qualcosa che assomigliava
molto ad un grande schermo, come quello del cinema. E su quello
schermo ho visto una strada, e un oggetto che scivolava
sull’asfalto, seminando una scia di scintille dietro di sé, come
una specie di cometa. L’immagine si è avvicinata, come se ci
fosse lo zoom di una telecamera, e ho notato che quella cosa che
sferragliava sulla strada era la mia moto. L’ho riconosciuta e
allora ho capito. La mia moto aveva avuto un incidente: io avevo
avuto un incidente. Come pronunciai quella parola, “incidente”,
percepii chiaramente come stava il mio corpo fisico in quel momento.
Il respiro si fece pesante, persi del tutto la forza nelle gambe che
diventarono molli, inesistenti.
<<Mi
girai, terrorizzato. E Mara era lì, al mio fianco. Aveva un sorriso
dolce e nello stesso tempo divertito, complice. Come se volesse
dirmi: “Finalmente hai capito. Sono contenta.” Si avvicinò e
con dolcezza mi disse: “Bene, Alessio. Adesso devi scegliere.”
<<Immediatamente
mi resi conto che la scelta era quella di tornare dentro il mio
corpo, quel corpo di cui avevo avvertito la sofferenza, oppure
rimanere lì, avvolto in quella luce, in un senso di pace unico, di
totale appartenenza all’universo. Sebbene fosse difficile
staccarsi da quella sensazione di benessere infinito, scelsi di
tornare a casa. Mara si fece seria. “Sarà duro e doloroso”, mi
disse, spiegandomi che sarei rimasto paralizzato. Ma mi disse anche
che forse sarei
potuto tornare a camminare. E che la cosa sarebbe dipesa di me. Mi
disse che sarei vissuto in mezzo agli altri e per gli altri. Capii
in seguito cosa voleva dire.
<<Ora
di fronte a me vedevo un lettino, con dentro un corpo distrutto,
accartocciato, che mi attirava, mi risucchiava verso di sé. Non
feci neppure in tempo a pentirmi della scelta fatta che mi ritrovai
dentro quel corpo. E aprii gli occhi. Ero tornato.>>
Alessio
si interrompe. Aspetta una mia reazione. Gli dico che la sua storia
è incredibile e che deve essere stato duro ritrovarsi immobile nel
letto dell’ospedale, così, all’improvviso.
<<Certo,
i primi tempi sono stati davvero difficili>>, continua.
<<La sofferenza era atroce ma io non smettevo un attimo di
pensare a quello che avevo visto, di pensare a Mara. E quando ho
potuto farlo, a rischio di essere preso per un pazzo, ho raccontato
tutto ai miei genitori. Era uno sfogo, ero infatti preoccupato che
fosse tutto frutto della mia fantasia. Ma mia madre, quando ha
sentito che la ragazza di cui parlavo si chiamava Mara, è
sbiancata. “Ti devo dire una cosa” mi confidò con voce incerta.
E mi fece un racconto che potrebbe sembrare assurdo, ma che è,
invece, una straordinaria controprova che quanto ho vissuto mentre
ero in coma è reale.
<<Mi
disse che una sensitiva, conoscente di una sua amica, le aveva fatto
avere dei messaggi per me. Quella signora, che prima di allora non
aveva mai avuto rapporti con la mia famiglia, aveva ricevuto tre
messaggi da un’altra dimensione attraverso la scrittura
automatica. Ed erano tutti e tre firmati “Mara”. Quella signora,
aveva scritto ciò che io stavo vivendo mentre ero in coma.
Attraverso le parole di Mara, in quei messaggi era descritta anche
la scelta che avevo fatto, cioè quella di tornare a casa.
<<Quei
messaggi sono stati la scintilla di un’esplosione dentro di me.
Erano la prova che non mi ero immaginato ciò che era accaduto
quando mi trovavo in coma, ma che, in qualche modo misterioso, era
tutto vero. Mara esisteva per davvero. E ho capito, quindi, che non
ero solo, che non lo sarei mai stato. Mara avrebbe vegliato su di
me. Io avrei dovuto darmi da fare, avrei dovuto sempre credere
ciecamente nel fatto di poter migliorare e anche guarire, perchè me
lo aveva promesso lei, Mara.
<<I
medici dicevano che ci sarebbero voluti almeno due anni prima che
potessi anche solo mettere il naso fuori dall’ospedale. E invece
dopo solo sette mesi dall’incidente vinsi tre medaglie d’oro nel
nuoto ai Campionanti Italiani assoluti per disabili e due anni dopo
ero ad Atlanta, a gareggiare nelle finali di nuoto alle Olimpiadi
<<Questa
è la mia storia. Si è svolto tutto così, credimi. E’ tutto
strano, lo so. Ma per me si è trattato di una lezione che mi ha
insegnato molto. Ho capito senza ombra di dubbio che non siamo fatti
solo di corpo ma che esiste un’energia, che irradia l’universo e
che ci anima, che nutre ogni nostra cellula. In quei giorni mentre
il mio corpo fisico era in coma, ho avuto la percezione
dell’esistenza di Dio. Non del Dio evanescente, lontano, come
quello in cui credevo un tempo, ma un Dio
fatto di luce, di amore, di forza, una forza che è in ciascuno di
noi. Un Dio senza nomi, senza etichette, che vive e di cui siamo
parte. Forse ho appena varcato una soglia, forse ho avuto un
assaggio di quello che può esserci dopo la vita, non so. Ma di
fatto, tutti dicevano che per me era finita e invece adesso, eccomi
qua. Guardami! Sono qui a lavorare per gli altri. Proprio come aveva
detto Mara, Disse che “sarei stato tra gli altri e per gli
altri”. Io e il mio staff ci diamo da fare, lavoriamo tutto il
giorno, con professionalità. La “Fondazione Alessio Tavecchio”,
che è assolutamente senza fini di lucro, è una realtà sempre più
concreta e il nostro progetto, il nostro sogno, si sta, giorno dopo
giorno, concretizzando. Vieni, ti faccio vedere.>>
Alessio
mi accompagna ad un grande tavolo. Sopra c’è un plastico di un
edificio dalle linee futuristiche. <<Questo è il “Centro”
di accoglienza, formazione, sostegno e sport per i disabili che
vogliamo costruire. Un centro unico nel suo genere in Italia e che
sarà aperto a tutti, anche per chi non sta su una carrozzina.
Questo favorirà l’integrazione, il reinserimento nella società
di chi è costretto su una sedia a rotelle e che spesso viene
emarginato. La Fondazione continua a raccogliere fondi attraverso i
proventi dalla vendita del mio libro, le donazioni, l’interesse
che cerchiamo di attirare sul problema. Siamo un’entità seria,
credibile al punto che la Regione Lombardia ha detto di volerci
sostenere. E’ un bel progetto, non trovi? Noi ci crediamo, andiamo
a vanti decisi. Abbiamo sempre bisogno di sostenitori e anche di
volontari che ci aiutino nel nostro lavoro. Basta visitare il nostro
sito www.alessio.org per avere
tute le informazioni.>>
Foto
di Nicola Allegri