A due anni dalla morte di Giovanni Paolo II, Arturo Mari, che per 27 anni
è stato il “fotografo personale” di Papa Wojtyla, racconta in un
libro fatti, ricordi, impressioni. Un libro eccezionale che in
Polonia ha già venduto 300 mila copie.
“ARRIVEDERCI
IN PARADISO”
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Foto
di Nicola Allegri e di Arturo Mari
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Si intitola “Arrivederci in Paradiso”.
E’ un piccolo libro di sole 140 pagine, che parla di Papa Giovanni
Paolo II. Non è ancora uscito in Italia, ma sarà in libreria a breve
e provocherà grande interesse, grandi discussioni, grande stupore,
grande commozione, come è già avvenuto in Polonia dove il libro è un
best seller con oltre 300 mila copie vendute in pochi mesi.
Su Giovanni Paolo II sono stati
pubblicati innumerevoli libri, ma forse nessuno presenta tante
sfaccettature della vita e della personalità di Giovanni Paolo II
così singolari e sconosciute come questo. Che non è opera di uno
scrittore celebre o da un famoso giornalista. Di un ricercatore che
ha consultato archivi e documenti rari.
E’
stato scritto da un fotografo, Arturo Mari, il fotografo del Papa.
Un professionista leggendario, che tutto il mondo cattolico conosce
perché è sempre presente dove si trova il Papa.
Romano, 66 anni, Mari è responsabile
di tutti i servizi fotografici dell’”Osservatore Romano”, quotidiano
della Santa Sede, ma ha anche l’incarico prestigioso di “fotografo
personale” del Santo Padre. Per 27 anni, è stato l’ombra di
Giovanni Paolo II. Sempre accanto a lui, giorno dopo giorno, senza
mai una vacanza, un riposo settimanale o festivo. Presente alle
cerimonie ufficiali, agli incontri con i potenti, ai viaggi in giro
per il mondo, ma anche presente alla vita privata del Pontefice,
alle sue messe riservate a poche persone, alle cene
nell’appartamento privato, agli incontri di cui nessuno ha mai dato
resoconti.
<<Erano incarichi di estrema
fiducia>>, ammette Mari. <<Li ho svolti con il massimo impegno e con
tutto il mio affetto>>. Un affetto ampiamente ricambiato da Papa
Giovanni Paolo II, che considerava Mari come un figlio e con questo
titolo lo ha a volte presentato anche ai potenti della terra:
“Arturo è come un figlio per me”.
Per questa sua posizione
professionale, e per la fiducia che il Papa gli ha sempre concesso,
Arturo Mari è diventato il testimone più eccezionale, più informato
della vita quotidiana di Papa Wojtyla. Attraverso l’obiettivo della
sua macchina fotografica ha visto il Papa in tutte le sue
manifestazioni: gioia, commozione, sofferenza, lacrime, preghiera.
Con le immagini, che sono state pubblicate sui giornali di tutto il
mondo, ha documentato
la vita ufficiale del Papa, e ora, attraverso le parole di questo
libro straordinario, parla della vita privata, di ciò che le foto
non possono raccontare.
<<Questo
libro è nato per caso>>, racconta. <<Una sera conversavo con alcuni
amici giornalisti polacchi che conoscevo da tempo. Mi lasciavo
andare ai ricordi e loro rimasero stupiti. Mi chiesero di allargare
quel poco che avevo raccontato e ne è uscito un libro. Poca cosa. Le
conversazioni di una serata. Se dovessi raccontare tutto quello che
ho visto, dovrei scrivere un’enciclopedia>>,
Ma quella “poca cosa” ha già fatto un
grande rumore. Pubblicata in libro in Polonia, ha incontrato un
grande interesse. 300 mila copie vendute in pochi mesi. E ora stanno
per uscire le edizioni in spagnolo, in inglese, in portoghese e
anche in italiano.
<<Non riesco a capire il perché di
tanto interesse>>, dice Arturo Mari. <<Ma se serve per far conoscere
meglio e far amare di più Papa Wojtyla mi sento l’uomo più felice
del mondo>>.
La ragione del successo di questo
libretto sta nel fatto che Arturo Mari riferisce ciò che ha visto.
E’ un testimone oculare. E racconta con lo stile del cronista.
Poche parole, che fotografano la situazione. Ma sono le parole di
chi è abituato ad osservare con meticolosa attenzione e soprattutto
con immenso amore. Del grande pontefice racconta fatti strepitosi ai
quali ha assistito con pochi altri testimoni, guarigioni
inspiegabili, veri miracoli, scontri con i potenti della terra, ma
evidenzia soprattutto le piccole delicatezze, gli atteggiamenti
umili, le sofferenze nascoste, le espressioni affettuose con le
persone più sfortunate. Il comportamento umano di una persona che
ama i propri simili perché in essi vede Gesù.
Eccone
alcuni bravi
Come Madre
Teresa, nei sofferenti vedeva Gesù: <<Mi ricordo come si
comportava nei lebbrosari. Molti di noi non riuscivano neanche a
guardare quei “morti viventi”, senza volto, deformati dalla
malattia. Invece, il Papa li toccava, li carezzava, li stringeva al
cuore, li baciava, li benediva. Li aiutava a mangiare, e quando la
pappa molle cadeva dalla loro bocca, con il dito, dolcemente,
gliela rimetteva tra le labbra. Mi ricordo come si è inginocchiato
accanto a un cieco e lo nutriva con il cucchiaino, pazientemente.
Non erano solo gesti esteriori: era espressione di un vero amore,
perché lo faceva sempre, istintivamente, quando si trovava accanto a
delle persone che ne avevano bisogno>>.
Sorridente,
scherzoso ma con abitudini ascetiche. <<Il Suo appartamento
era molto modesto. Ha sempre mangiato poco, per non parlare di
digiuno che ha sempre vissuto alla lettera. Mangiava solo cose
semplici, beveva solo acqua o, durante i pasti, del tè. Quando gli
offrivano lo champagne o il vino per brindare in Suo onore, toccava
con le labbra solo l'orlo del bicchiere. Ha sempre osservato il
digiuno di venerdì. Anche all'estero, dove spesso di venerdì gli
portavano
piatti fantastici, si limitava allo stretto necessario. Quando
d’inverno passeggiava nei giardini del Vaticano, si copriva solo con
un vecchio mantello nero, quello che portava ancora a Cracovia, da
arcivescovo>>.
Lavoratore
indefesso: <<Non l'ho mai visto regalarsi due minuti di
riposo. Ho fatto tante fotografie nei cosiddetti luoghi di
villeggiatura del Santo Padre. Ma che villeggiatura? Le vacanze
erano per Lui dei momenti del più duro lavoro. È in quel periodo, in
Valle d'Aosta oppure a Castelgandolfo, che scriveva encicliche e
lettere. Macinava lavoro dalla mattina alla sera>>.
Preghiera
continua: <<Pregava in cappella, ma anche seduto sulla
poltrona, nei cosiddetti momenti di riposo che per lui non sono mai
stati tali. Pregava quando moriva qualcuno – per un amico, una
persona conosciuta, o le vittime di un attentato o di un incidente.
Pregava quando veniva a sapere che da qualche parte la situazione
politica era grave, quando da qualche parte scoppiava la guerra.
Pregava
quando aveva un problema, quando gli arrivava qualche brutta
notizia su una situazione da risolvere.
Andava in
cappella e ci rimaneva fin quando non aveva risolto la questione.
Pregava molto anche nei paesi che andava a visi-tare. I Suoi
raccoglimenti li consideravo come momenti di preghiera per i
problemi della gente del posto. Sembrava che si immedesimasse in
loro, nelle loro sofferenze. Mi ricordo che a Vilnius è rimasto a
pregare in ginocchio per sei ore… Gli succedeva anche di passare le
notti intere sull'inginocchiatoio, senza dormire. La mattina, lo
vedevamo allora più debole del solito e ci dicevamo
fra di noi che
non aveva dormito>>.
Contemplativo:
<<Quando, durante le vacanze in montagna, raggiungeva quote
rilevanti di altezza, si sedeva su una pietra o sopra un ciuffo
d'erba e allora si poteva comprendere il senso più profondo del
contatto che aveva con la natura. Faceva impressione vederlo a
contemplare il creato. E dopo tali momenti di intensa
contemplazione, lo vedevo come più forte, armato di nuove forze
dello spirito. Del resto, era lì, in Valle d'Aosta, che scriveva le
encicliche. Evidentemente aveva bisogno di guardare la natura per
poter lavorare>> .
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