LA POESIA DEL MESE

A cura di Roberto Allegri

In questo numero Roberto Allegri presenta e commenta una delle ultime poesia di Padre David Maria Turoldo, grande voce profetica del nostro tempo.

Questa composizione poetica di Padre David Maria Turoldo non ha titolo e per indicarla usiamo le parole del primo verso. La poesia si trova nell’ultimo  libro di Turoldo, uscito nel 1992, l’anno della sua morte con il titolo “Il dramma è Dio”.

Essere nuovi come la luce

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Quando padre David Maria Turoldo, religioso, filosofo e poeta, era in vita, fu molto osteggiato. Anche da coloro che avrebbero dovuto difenderlo sempre e comunque. Era un pensatore libero e per questo controcorrente, a volte scomodo perché sincero.

Era un poeta perdutamente innamorato di Cristo, un fervente sostenitore della libertà e della sacralità dell’uomo, proprio perché creatura capolavoro di Dio. Con voce possente, non aveva paura di esprimere la sua opinione, che era sempre e comunque a favore dei deboli. Così venne ostacolato, spesso emarginato, anche deriso. La gente però, quella vera che tiene la vita in mano e non quella che la spia attraverso le finzioni della televisione, fu sempre dalla sua parte. E quando, negli anni che seguirono la Seconda Guerra Mondiale, predicava nel Duomo di Milano, la cattedrale era sempre stracolma.

Oggi, a distanza di diciotto anni dalla sua morte, padre Turoldo viene spesso preso come esempio, viene considerato una delle figure importanti del pensiero cristiano e della letteratura del Novecento. I suoi libri vengono ristampati e hanno grande diffusione.

Gli “intellettuali” si riempiono la bocca con il suo nome e i suoi scritti. Essere onorati dopo la morte è purtroppo il destino amaro riservato ai grandi.

Padre Turoldo scrisse numerosi saggi. E scrisse poesie straordinarie. I suoi versi sono come frecce di fuoco che giungono rapidissimi al centro dell’anima, fluidi e immediati. Sono canti che si leggono a bocca aperta, col fiato teso dall’emozione, col sentire lacrime di commozione bruciare gli occhi. Poesie che si scorrono annuendo con il capo perché la loro bellezza e la loro potenza sono oneste, pure e sincere.

L’anno in cui morì, il 1992, padre Turoldo diede alla stampa il suo ultimo libro, intitolato “Il dramma è Dio”.

Era già malato, consapevole che la fine era vicina e quindi risoluto a meditare, approfondire, descrivere il rapporto con la morte. E a condividere il frutto delle sue riflessioni con gli altri.

In questa sua ultima fatica, vi sono anche diverse poesie. Una di queste ho voluto sottolinearla qui, oggi. Non porta titolo, si trova nell’introduzione al volume e ammalia il lettore proprio all’inizio della lettura.

I versi di Turoldo descrivono esattamente il tempo in cui stiamo vivendo, anche se scritti vent’anni fa. Rappresentano la “preveggenza” di un poeta immenso che conosce molto bene l’umanità e le sue debolezze. Ma che sa anche distinguere la strada giusta, la direzione cui tutti dovrebbero tendere per giungere alla Meraviglia, allo stupore finale al cui paragone le miserie di ogni giorno, ritenute erroneamente essenziali, sono solamente briciole, carta sottile che brucia in fretta e scompare.
 

 

Ecco la poesia di Turoldo:

Essere nuovi come la luce a ogni alba

come il volo degli uccelli

e le gocce di rugiada:

come il volto dell’uomo

come gli occhi dei fanciulli

come l’acqua delle fonti:

 

vedere

la creazione emergere

dalla notte!

 

Non vi sono fatti precedenti:

non parlate di millenni

o di giorni o di altri millenni.

 

Né creatura alcuna correrà

il rischio di essere sazia:

principio altro principio genera

in vite irripetibili

come le primavere.

 

Io debbo essere un segno mai visto

ipostasi del non visto prima,

goccia consapevole o perla della notte,

il lucente attimo d’Iddio

che per me solamente

così si riveli e comunichi.

 

Unico male l’abitudine

e la scelta tragica:

discorrere invece che intuire.

 

E la mente si popola di idoli

e il cuore è un deserto lunare:

solo la Meraviglia ci potrà salvare

aprendo il varco

verso la Sostanza.

 

Allora il medesimo silenzio dell’origine

nuovamente fascerà le cose,

o eromperà – uguale

evento – il canto.

 

(da “Il dramma è Dio”, Rizzoli 1992)

 

 

 

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