L’attrazione verso l’ignoto da parte della gente è fortissima. In effetti, appartiene alla natura umana il tendere verso qualcosa di “non chiaro” e di “inafferrabile”. Ma spesso questa attrazione spinge l’uomo a cadere in imbrogli e facili suggestioni.

IL GRANDE DESIDERIO

DI CREDERE NEL MISTERO

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di Roberto Allegri

Nel mese di luglio, le foto di una pinna di squalo nel Tevere hanno fatto il giro delle agenzie, dei quotidiani e dei telegiornali suscitando curiosità e stupore. Le immagini sarebbero state scattate con il telefono cellulare da un certo William McGill, un turista irlandese che poi le avrebbe divulgate tramite e-mail.

La stampa ne ha parlato a lungo, evidentemente interpretando il sempre acceso desiderio del pubblico di conoscere storie incredibili, eventi che esulano dall’ordinario e che sfociano in tutto quello che viene definito “mistero”. Ma sono anche foto che lasciano piuttosto perplessi.

Nonostante esistano specie di squali detti “eurialini”, cioè che sono in grado di vivere in acque a bassa salinità come quelle delle foci, e nonostante si abbiano notizie di squali che hanno risalito per alcuni tratti i fiumi partendo dal mare, la presenza di un simile pesce nel Tevere lascia dietro di sé una lunga scia di dubbi.

Mio desiderio però non è confutare o meno le immagini del turista irlandese ma invece fare una riflessione che la notizia mi ha suggerito. Nel corso della storia,infatti, ci sono stati moltissimi casi di persone che hanno fotografato mostri e creature fantastiche, scatenando poi l’interesse dei media e shoccando l’opinione pubblica. Però, le immagini in questione poi sono sempre finite per essere giudicate delle semplici “bufale”.

Ne prendo due come esempio, tra le più note. Una riguarda le fate e un grande scrittore. L’altra, il mostro più celebre della storia, quello del lago di Loch Ness.

Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930), oltre che leggendario scrittore e creatore del personaggio di Sherlock Holmes, fu anche un grande appassionato di parapsicologia e di occulto, argomenti sui quali scrisse un’enciclopedia. Negli anni Venti, difese con alcuni articoli e persino con la pubblicazione di un intero volume, due ragazzine inglesi che affermavano di aver incontrato le fate.

Nel 1917, Frances Griffith, di dieci anni, e Elsie Wright, di sedici, tornarono a casa dopo una gita nei boschi dello Yorkshire dicendo di avere incontrato delle fate. Rimproverate dai genitori per essere bugiarde, presero una macchina fotografica, tornarono sul luogo e fotografarono le creature che avevano visto e che nel bosco le stavano aspettando. Nelle cinque immagini, diventate ormai famose, le due ragazzine appaiono in compagnia di piccoli ed eterei esserini con le ali, a metà strada tra ballerine e farfalle.

Sir Conan Doyle, quando venne a conoscenza della notizia, volle prontamente esaminare le fotografie. Le studiò a lungo e alla fine affermò di non essere riuscito a trovare nessuna traccia di trucco. Fu affascinato dalla possibile esistenza di creature così fantastiche e decise di prendere le difese delle due bambine testimoni.

Lo fece usando il suo peso intellettuale, scrivendo un articolo sul numero di Natale del 1920 dello “Strand Magazine”, il celebre mensile britannico sul quale Conan Doyle aveva esordito col primo romanzo su Sherlock Holmes nel 1887. In seguito, Conan Doyle pubblicò un intero volume sull’argomento intitolato “La venuta delle fate” che ebbe anche più di una ristampa.

Nonostante molti esperti considerassero le fotografie un falso, lo scrittore difese sempre la versione delle due ragazzine affermando che il loro non era il solo caso e citandone diversi altri analoghi. Le fate di Francis e Elsie, “patrocinate” da Conan Doyle, accesero un vero e proprio dibattito nel mondo della parapsicologia. C’era chi sosteneva fosse tutto un imbroglio e chi avanzava l’ipotesi di una proiezione mentale impressa sulla pellicola. C’era chi era convinto si trattasse di spiriti di forma umana ma mai incarnati in viventi e chi li considerava spiriti dei defunti manifestatisi in creature di piccole dimensioni. Una “bagarre” intellettuale che purtroppo si risolse in una bolla di sapone.

Successive e maggiormente approfondite indagini dimostrarono che le due ragazzine avevano ingegnosamente fotografato delle sagome di cartone. E la stessa Elsie, ormai ottantenne, confessò prima di morire, nel 1988, che si era trattato di uno scherzo ma che, travolte dagli eventi, sia lei che Frances avevano mantenuto il segreto per non screditare la fama di Conan Doyle. Spiegò anche che avevano usato bastoncini di legno e cartoncini sagomati a forma di fata e poi inseriti nel terreno con degli spilli. Insomma, la buona fede del grande scrittore era stata tratta in inganno dal suo stesso inarrestabile desiderio di credere nel fantastico.

Passiamo ora dall’Inghilterra alla Scozia, più o meno nello stesso periodo. Il 19 aprile del 1934 il dottor Robert Kenneth Wilson scattò una fotografia al mostro di Loch Ness che fece il giro del mondo e che ancora oggi viene pubblicata sui libri e negli articoli che parlano di “Nessie”, la misteriosa creatura del Loch Ness i cui primi avvistamenti risalgono ad epoca medioevale. L’immagine mostra un animale molto scuro dal lungo collo serpentiforme che esce dall’acqua. La stampa diede all’epoca ampio risalto alla foto e in molti scrissero che essa rappresentava la prova definitiva dell’esistenza di un animale ignoto alla scienza nelle acque del lago scozzese. Però, al momento della sua morte, avvenuta nel 1969, il dottor Wilson rivelò l’imbroglio. Non aveva assolutamente fotografato il “mostro” ma soltanto un oggetto fabbricato ad arte, sagomato a forma di lungo collo, che aveva poi fatto galleggiare sull’acqua inchiodato ad una tavoletta di legno.

A questo punto, mi viene spontanea una conclusione. L’attrazione verso l’ignoto da parte della gente è fortissima. In effetti, appartiene alla natura umana il tendere verso qualcosa di “non chiaro” e di “inafferrabile”. Il mistero è in tutti noi e ne subiamo prepotentemente il fascino. Proprio per questa ragione, noi giornalisti abbiamo il dovere di fornire materiale “intelligente” e costruttivo, che tratti sì l’argomento “mistero” ma che sia sempre supportato da ricerche scientifiche, da pareri prestigiosi e inattaccabili, da documenti e prove o quanto meno da testimonianze al di sopra di ogni sospetto. Agire in modo diverso vuol dire prendersi gioco di chi compra i giornali o legge i libri. E vuol dire anche sfruttare l’emozione nata dalla fantasia.

Sembra però che nonostante il passare del tempo, le cose non cambino direzione. Le presunte fate vennero fotografate nel 1917, vale a dire novantatre anni fa. Il fasullo mostro di Loch Ness fu immortalato nel 1934, cioè settantasei anni fa. Nel 2010, lo squalo nel Tevere: tutto come sempre!