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tengono ancora oggi, la migliore delle compagnie
“MAMMA LUCIA”: CAPOLAVORO,
MA CHE EBBE POCA FORTUNA
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di Roberto Allegri -
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Il nome dello scrittore
Mario Puzo (1920-1999) è indissolubilmente legato alla fortuna del
suo romanzo più celebre, “Il Padrino”. Pubblicato nel 1969, divenne
in breve tempo uno dei libri più letti in tutto il mondo.
Dal romanzo vennero tratti
tre film diretti da Francis Ford Coppola “Il Padrino”, “Il Padrino -
Parte II” e “Il Padrino - Parte III” interpretati da attori del
calibro di Marlon Brando, Robert De Niro e Al Pacino. Tre film che
sono entrati a pieno diritto nella storia del cinema e che ancora
oggi, a distanza di quarant’anni, conservano intatto il loro fascino
e la genialità del loro regista.
Di Mario Puzo, scrittore
newyorkese di origini italiane (i suoi genitori venivano dalla
Campania), si ricordano soprattutto i libri che scrisse dopo il
successo de “Il Padrino” come ad esempio “Il Siciliano”, sulla
storia del bandito Salvatore Giuliano, oppure “Omertà”. Ma pochi
parlano di “Mamma Lucia”, pubblicato nel 1965, quando Puzo aveva
quarantacinque anni. Ed è un peccato perché “Mamma Lucia” è un
romanzo straordinario.
Georges Simenon disse una
volta che esiste una netta distinzione tra i “narratori” e gli
“scrittori”. I primi sono abilissimi nel raccontare una storia, nel
disporla sulle pagine come un regista mette in perfetta sequenza le
scena di un film. I secondi invece, sono artigiani, sono coloro che
non si limitano a narrare una vicenda ma tentano di entrarvi in
profondità, di sondarla, usando le parole come fossero i colori di
un dipinto. In genere, i narratori sono quelli da milioni di copie,
da best-sellers. Mentre gli altri, a volte restano sconosciuti anche
se, a leggerle, le loro pagine infiammano l’animo. Raramente le due
caratteristiche si incontrano nella stessa persona ma può capitare.
E Mario Puzo è stato uno di questi fortunati artisti.
Il titolo originale del
romanzo “Mamma Lucia” è “The Fortunate Pilgrim” e all’epoca della
sua pubblicazione, il 1965, riscosse un grande consenso da parte
della critica. Passò però inosservato dal grande pubblico, che lo
riscoprì solo in seguito.
<<The Fortunate Pilgrim is my best and most literary book. And, even
though it was very well received by the critics, it made no money>>,
disse Puzo in un’intervista.
“Mamma Lucia è il mio miglior libro e il più letterato e sebbene sia
stato bene accolto dalla critica, non mi ha fatto guadagnare".
“Mamma Lucia” racconta le
vicende di una famiglia di immigrati italiani negli Stati Uniti
degli anni Trenta, che abitano a Little Italy a New York. Vicende
che ruotano attorno alla figura di Lucia Santa Angeluzzi-Corbo e ai
suoi tentativi di mantenere uniti figli e nipoti nonostante le
privazioni della povertà. Il libro è soprattutto un esempio di
scrittura magistrale, di quelli che si leggono tenendo la matita in
mano per sottolineare i passaggi che aprono la mente e danno
lezione.
Cito queste righe, tratte
dal romanzo:
“Il sole estivo
scomparve e arrivarono veloci nubi scure. La polverosa aria calda e
l’odore del selciato e del catrame molle furono spazzati da un
improvviso scroscio di pioggia liberato da grandi colpi di tuono. Ci
fu nell’aria un timido sentore di verde.”
Adoro questo tipo di
descrizioni. Poche pennellate per fornire un dipinto. Mi ricorda il
Truman Capote di “L’arpa d’erba”. Sono le frasi che colpiscono, che
danno l’idea di un forte e sonoro ragionamento sulla pagina
all’inseguimento di una forma stilistica fluida e agguerrita nello
stesso tempo. Un altro passaggio:
“Lucia Santa percepì quel potere, quell’intuito quasi divino che le
madri avvertono guardando dalla finestra i figli che giocano,
osservando mentre sono inosservate. Proprio quanto si dice di Dio
che scruta da una nube gli uomini bambini, troppo assorti per
guardare in alto e vederlo.”
Ne “Il Padrino”, lo stile
di Mario Puzo è più narrativo, quasi colloquiale. Come fosse di
fronte ad ogni lettore e raccontasse la storia al fine di far
trascorrere piacevole ore di svago. Ma in “Mamma Lucia”, ogni pagina
è come scolpita nel marmo. La carta è il materiale da incidere con
lo scalpello delle parole scritte. Voglio aggiungere un ultimo
passaggio, la straordinaria descrizione di un operaio che, la sera,
si mette a tavola e mangia di fronte alla sua famiglia, in un
crescendo descrittivo che esalta.
“La moglie si chinava
su di lui con la grande fondina di pasta e fagioli fumante e
cosparsa di aglio soffritto. Zi’ Pasquale brandiva il cucchiaio come
una pala, l’affondava e con un colpo da esperto manovale il
monticello di minestra spariva nell’enorme bocca baffuta. Dopo tre
di simili assalti posava il cucchiaio e strappava un grosso pezzo
della pagnotta. Il cucchiaio in una mano, il pane nell’altra,
riversava vita ed energia nel profondo dell’anima.
Ad ogni boccone
diveniva visibilmente più forte, più potente. Diveniva più alto, li
dominava. La pelle del volto si colorava di rosa, si vedeva un
balenio di denti bianchi e persino una traccia di labbra rosse
mentre i baffi s’impregnavano ben bene di minestra. Il pane scuro e
crostoso scricchiolava tra i denti con uno scoppiettio e il grande
cucchiaio di metallo baluginava come una spada sopra le teste.
Scolava il bicchiere di vino. E come se avesse riportato ogni cosa
allo stato originale, c’era odore di uva, farina e fagioli crudi
nella terra.”
Questo per me significa
saper scrivere.
(Mario
Puzo “Mamma Lucia” – TEADUE 1994)
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