Curiosando nell’ignoto
Molte vicende della vita non hanno spiegazioni razionali, ma, io sto
con il grande psicanalista Carl Jung che affermava: “Non commetterò
il tipico errore di considerare una frode tutto ciò che non sono in
grado di spiegare”.
LO STONEHENGE ITALIANO
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DI
Roberto Allegri - Foto di Nicola Allegri
L’idea arriva da mio fratello Nicola. Mi manda
una mail: “Guarda questa pagina su internet”, mi scrive. “Forse può
essere interessante”.
Vi è riportato l’estratto di un libro di un
certo Giovanni Feo, un appassionato di archeologia del centro
Italia. Afferma di avere scoperto in Toscana un antico sito
megalitico, cioè uno di quelle strane costruzioni di blocchi di
pietra tipici del Neolitico, che non ha nulla da invidiare a quello
più famoso di Stonehenge.
Mi si accende subito la lampadina della
curiosità.
Stonehenge è un nome che evoca immediatamente
un’atmosfera di fiaba e di leggenda. Complici sono i vari film e i
romanzi che hanno il sito megalitico più famoso del mondo come
protagonista. Mi vengono in mente i romanzi di Edward Rutherford, di
Bernard Cromwell o dello scrittore parmense Mauro Raccasi.
Per chi non lo conosce, Stonehenge (che
significa “pietra sospesa”) si trova in Inghilterra, ad Amesbury
nello Wiltshire, a circa tredici chilometri a nord-ovest di
Salisbury sulla piana omonima. È composto da un insieme circolare di
grosse pietre erette, i megaliti appunto, e la maggior parte degli
archeologi ritiene sia stato costruito tra il 2500 e il 2000 a.C.
Dal momento che le pietre sono allineate secondo i punti del
solstizio e dell’equinozio, in molti sostengono che il complesso
sarebbe un grande osservatorio astronomico utilizzato da
antichissimi popoli per lo studio delle stelle. Di recente, il
dottor Rupert Till, dell’Università di Huddersfield, avrebbe
identificato nel sito di Stonehenge una sorta di “teatro” dove
veniva eseguita musica. E pare che le pietre producessero effetti
acustici molto strani, quasi ipnotici.
L’idea
che anche in Italia esista un luogo del genere, fa correre la mia
fantasia. Mi metto allora a navigare in rete alla ricerca di
Giovanni Feo e, parlando poi con l’ufficio stampa dell’editore che
ha pubblicato il suo libro “Geografia Sacra” (Stampa Alternativa),
riesco ad avere un numero di telefono.
Mi risponde una voce cordiale ma nello stesso tempo sfuggente.
Tipica delle persone timide ma anche di coloro che non amano
mettersi troppo in luce. E infatti, quando poi lo incontrerò di
persona, Giovanni Feo confermerà la mia impressione: schivo e
modesto, è uno che percorre in solitudine le colline a piedi
cercando le tracce di una antica civiltà con la costanza di un
innamorato.
Ci diamo appuntamento a Pitigliano, dove
Giovanni Feo vive.
Pitigliano si trova nella Maremma grossetese,
in una zona ricca di boschi e colline. Un borgo interamente
costruito su un unico masso di tufo, la famosa roccia magmatica
tipica di molte zone del centro Italia. Dopo la quotidiana follia di
Milano, viaggiare tra quei paesaggi è una boccata di ossigeno non
solo per i polmoni ma anche per la mente. E’ la Toscana meno
patinata, quella che non compare nei film e che non porta la firma
di Sting, di Sarah Ferguson o di altri VIP che hanno deciso di
vivere tra colline e uliveti. Una Toscana ancora “libera”, non
colonizzata dagli americani danarosi coi miti del Chianti e del
cappuccino fissi in testa. E quando poi si ha di fronte Pitigliano,
si ha quasi la sensazione di tornare indietro nel tempo. La città
pare caduta direttamente dal cielo per piantarsi nella roccia, dalla
quale le case emergono come fatte della stessa materia. La
circondano boschi e rilievi verdi di cespugli e bruni di sassi. E un
gregge che ci sbarra all’improvviso la strada completa l’opera:
adesso sì che siamo veramente all’interno di un dipinto.
Io e Nicola troviamo Giovanni Feo nel centro
storico, seduto al bar dove abbiamo stabilito di incontrarci. Veste
un po’ come un boscaiolo, con grossi scarponi ai piedi. E’ di poche
parole, ma solo perché è riservato. Poi, incamminandoci verso l’auto
e durante il tragitto fino al sito da lui scoperto, Feo diventa più
loquace e inizia a raccontarci delle sue ricerche.
<<Vedrete
delle pietre gigantesche che sono il biglietto da visita di una
antica civiltà a noi sconosciuta>>, dice. <<Sono state tagliate nel
tufo oltre 4500 anni fa dal misterioso popolo che viveva in questa
valle. Oggi le pietre sono un monumento da studiare ma
quarantacinque secoli fa costituivano certamente un tesoro per la
popolazione, una cosa di grande valore, forse, secondo recenti
studi, erano uno straordinario osservatorio astronomico dove
venivano seguiti e studiati i movimenti del sole, i solstizi e gli
equinozi, le stelle, la luna: una sorta di calendario fatto di rocce
pesanti tonnellate.>>
Percorriamo per una decina di minuti un dedalo
di stradine di campagna che si allontanano da Pitigliano. Poi,
lasciamo l’auto in uno spiazzo. E ci inoltriamo nei campi.
Attraversiamo terreni da poco arati,
scavalchiamo recinti fatti con rovi intrecciati che i contadini
fabbricano per evitare che le pecore entrino nelle loro proprietà,
poi seguiamo un sentiero che buca un fitto bosco. Attorno a noi, il
silenzio e sopra quello, i richiami di uccelli disturbati dal nostro
passaggio. Infine ci arrampichiamo su una collina. E lì, celato dal
fogliame, appare a poco a poco qualcosa che ci lascia a bocca
aperta. Una decina di enormi massi di lava solidificata, alti come
due o tre uomini, squadrati con precisione, intagliati e crivellati
da nicchie e cavità. La loro disposizione geometrica appare subito
evidente ed è impossibile pensare che si tratti di una formazione
naturale. Si avverte una sottile energia, quasi un ronzio a fil di
pelle. Come essere in una chiesa, in un tempio, o all’interno di una
piramide egizia. Il pensiero che queste pietre siano state tagliate
e lavorate da uomini di cinquemila anni fa mette un sentimento di
forte riverenza. Poggio con cautela i piedi sul terreno e sfioro con
le mani i massi, con il rispetto dovuto a tutto ciò che è talmente
antico.
<<Siamo in una località che si chiama Poggio
Rota, sul limitare della valle del fiume Flora>>, spiega Feo. Si è
seduto su una pietra che assomiglia ad un trono e appare
visibilmente contento di poter raccontare e dividere la sua passione
per questo luogo. <<Nel 2500 a.C. questa valle era abitata da una
cultura detta “di Rinaldone”, di cui non si conosce ancora molto. Si
trattava di un popolo misterioso che pare provenisse dall’Anatolia e
che fu il primo, in Italia, a tagliare la pietra e a lavorare il
metallo. Questi megaliti possono davvero essere definiti “lo
Stonehenge italiano” e sono unici al mondo. Probabilmente sono i
megaliti più alti in assoluto tra quelli noti. Lo loro altezza
originale non è questa perché noi ora poggiamo su terra di riporto.
Esistevano dei gradini, di cui ho trovato delle tracce, che
conducevano ad un piano inferiore. Le pietre perciò erano alte più
di sei metri.
<<E ci sono diverse analogie fra queste e
quelle di Stonehenge. Entrambi i siti, infatti, pare fossero degli
antichi osservatori astronomici. Ecco, vedi questa roccia che ha una
scanalatura sulla sommità? Questo è un “puntatore”. Se si guarda
dentro la scanalatura si vede che è puntata esattamente verso la
sella di quella montagna là di fronte. In certe date la luna è
precisamente al centro di quella sella, nel campo visivo della
scanalatura. Anche Sirio è visibile in quel punto in altre
occasioni.
<<Sulla
cima di quest’altro megalite invece si trova esattamente il sole nel
giorno del solstizio d’estate. Lo si osserva stando seduti qui, su
questa specie di sedile. E invece quella pietra quadrata che
assomiglia ad un altare è una sorta di meridiana astronomica. Ho
scoperto che si può mettere un palo in un apposito solco, un po’
come faceva Indiana Jones in quel vecchio film con il plastico della
città di Tanis. Il giorno dell’equinozio il sole proietta l’ombra
del bastone attraverso fori scavati nel tufo e quindi all’interno di
una scanalatura che percorre tutta la pietra.
<<E’ incredibile pensare che tutto questo sia
stato ideato e costruito quasi cinquemila anni fa. Io e altri
studiosi che sono venuti qui con me, ad esempio il professor Adriano
Gaspani dell’Osservatorio Astronomico di Brera di Milano e il
professor Enrico Calzolari, esperto di paleoastronomia, pensiamo che
questo luogo era un immenso strumento per misurare il tempo,
rilevare le date per le festività religiose e le stagioni per la
semina. E chissà quante altre cose sono ancora nascoste e aspettano
di essere scoperte.
<<Come vedi, le pietre sono davvero enormi. E’
quindi impossibile pensare che siano state portate qui. Sono troppo
grandi e pesanti. Come ho detto, sono alte anche sette metri, più
grandi di quelle di Stonehenge che raggiungono invece i quattro
metri e mezzo. Io penso che all’origine qui c’era un immane masso di
lava solidificata che è stato poi tagliato con precisione a formare
questa costruzione con i diversi componenti.
<<Ora
guarda i fori sulle pietra. Solo alcuni sono dovuti all’erosione del
tempo. La maggior parte sono opera dell’uomo. Forse servivano per
accogliere i raggi del sole in determinate date oppure per
alloggiarci oggetti sacri. Qui infatti si svolgevano sicuramente dei
riti religiosi. Lo dimostra anche la presenza di una roccia scavata
per fare da cisterna dell’acqua, elemento da sempre presente nei
luoghi di culto. Si pensa che guardando nella cisterna d’acqua gli
antichi abitanti di questo posto potessero vedere riflessi la luna e
le stelle.
<<Mi gira la testa al pensiero di quanto ancora
c’è da scoprire qui. Bisognerebbe scavare, portare alla luce i
basamenti delle pietre, scoprire la reale e antica struttura del
sito. Sarebbe un passo fondamentale per la storia del territorio. Si
pensava che qui nell’età del Rame, cinquemila anni fa, vivessero dei
selvaggi. Invece vi abitava un popolo che conosceva i segreti del
cielo.>>